La F1 ha regalato un’altra gara spettacolare in questo inizio di 2022, ma lontano dalla pista non sono mancate le brutte figure.
Non si poteva davvero chiedere un inizio migliore per la nuova era della F1. Dopo due Gran Premi su due circuiti assai diversi tra loro, si può ormai affermare con certezza che i nuovi regolamenti pensati da Ross Brawn, Nikolas Tombazis e dell’équipe tecnica del circus e della FIA hanno centrato tutti gli obiettivi prefissati: rivoluzionare i rapporti di forza tra le varie scuderie, permettere alle vetture di seguirsi più facilmente e aumentare lo spettacolo, i sorpassi e l’imprevedibilità in pista. In Arabia Saudita è andato in scena un altro Gran Premio eccezionale, ricco di battaglie avvincenti ed estreme (basti chiedere ai due piloti della Alpine), nel quale Max Verstappen e la Red Bull hanno trovato il riscatto dopo il ritiro di Sakhir. L’olandese, però, ha dovuto lottare duramente per questa vittoria, incalzando e superando a quattro giri dalla fine la Ferrari di un fenomenale Charles Leclerc.
Come in Bahrein, anche a Gedda i due classe ’97 hanno dato vita ad un duello fantastico, che ha vissuto almeno quattro momenti di altissima qualità. In primis, la ripartenza dopo la Safety Car provocata da Latifi, nella quale il monegasco ha chiuso con astuzia e correttezza il rivale, affiancatosi a lui per infastidirlo, verso il muro del rettilineo finale, non permettendogli di ottenere una buona accelerazione per attaccare sul rettilineo principale; i due hanno poi riproposto una battaglia furiosa, ma pulita: in una sorta di replay di quanto accaduto a Sakhir, Leclerc ha ripetuto la geniale tattica di farsi sorpassare volontariamente sul rettilineo parallelo per poi contrattaccare con il DRS sull’allungo seguente; Verstappen non ha tuttavia abboccato per la seconda volta consecutiva, e al tentativo successivo i due hanno dato vita ad un’inconsueta sfida per non sorpassare il rivale. Da questa strana battaglia è uscito “vincitore” Verstappen, che tuttavia, a causa di un’accelerazione deficitaria, non è riuscito ad attaccare Leclerc; infine, l’olandese è riuscito a far fruttare il suo forcing asfissiante con un sorpasso di potenza (e soprattutto di efficienza aerodinamica) sul rettilineo di partenza.
Gli straordinari duelli tra l’olandese e il monegasco sembrano ormai poter diventare il leitmotiv della stagione 2022, senza tuttavia dimenticare il ruolo di Sainz, ancora secondo nel mondiale, e Pérez. Lo spagnolo e soprattutto il messicano hanno disputato un weekend solido, influenzato in negativo da due situazioni sfortunate. Il numero 11 ha stupito in quello che solitamente il suo punto debole, ossia la qualifica, realizzando il “giro migliore della mia vita” e conquistando la prima Pole Position nella storia della F1 per il Messico. Alla domenica, però, l’incidente di Latifi ha completamente rovinato la sua gara: entrato ai box proprio nel giro precedente per difendersi da un possibile undercut di Leclerc, Pérez è stato l’unico pilota dei primi quattro a non poter beneficiare del pit stop sotto Safety Car, perdendo posizioni da tutti i tre che lo inseguivano. Senza questo intoppo, il messicano sembrava poter controllare davvero agevolmente la gara da una meritata prima posizione. Per quanto riguarda lo spagnolo, invece, bisogna purtroppo introdurre un “nuovo” argomento: la Direzione Gara.
Già alla seconda gara della stagione si è infatti presentata una situazione controversa tra i piloti di testa: perché Pérez, che si trovava dietro a Sainz quando lo spagnolo ha attraversato la Safety Car Line 2, non ha restituito la posizione durante il periodo di Safety Car, bensì lo ha fatto solo dopo la ripartenza? La tattica di Red Bull è stata chiara: mantenere il messicano come cuscinetto tra Verstappen e la Ferrari e poi restituire la posizione nel momento più opportuno; tuttavia, sono comprensibili le lamentele da parte della Scuderia e del numero 55: questa mancanza di una decisione da parte della Direzione Gara lo ha infatti privato di un’importante opportunità e ha favorito, seppur leggermente, la Red Bull. Non sapremo mai se Sainz avrebbe effettuato un attacco su Verstappen, ma il vero tema è un altro: perché lasciar scegliere tatticamente ai team se e quando cedere la posizione nel momento in cui la situazione è limpida e non necessiterebbe nemmeno un’investigazione? Questo tipo di procedimento è corretto in caso di contatti o sorpassi effettuati fuori pista, ma in questa applicazione la sua applicazione ha lasciato davvero a desiderare.
Nonostante i piccoli cambiamenti apportati al circuito, il tracciato che ha ospitato il GP d’Arabia Saudita ha attirato tantissime critiche, soprattutto da parte dei piloti. Tutti quanti, infatti, hanno sottolineato la necessità di apportarvi modifiche sostanziali per migliorarne la sicurezza. Mentre venerdì il pilota di F2 Cem Bolukbasi ha riportato una commozione cerebrale a causa di un incidente in Curva 10, durante le qualifiche della F1 anche Mick Schumacher ha sbattuto contro il muro di cemento presente in quel punto, uscendo illeso da un impatto spaventoso, che ha provocato una decelerazione di 33G. Se da un lato bisogna, come sempre, applaudire la FIA per gli enormi passi in avanti effettuati in termini di sicurezza delle vetture, è ormai chiaro che il circuito di Gedda deve subire un pesante rifacimento perché, in poche parole, è troppo pericoloso. Perché, poi, l’altissimo e insidiosissimo cordolo di Curva 10 non è stato rimosso nella notte, come invece avvenuto su altri tracciati?
Riflettendo sul weekend, infine, sarebbe ingiusto far finta di aver dimenticato quanto accaduto venerdì. L’attacco missilistico dei ribelli yemeniti ha dato vita ad una situazione surreale e travolgente, che la F1 ha gestito malissimo a livello comunicativo. Definire Gedda un “luogo sicuro” e confermare senza riserve lo svolgimento del weekend poche ore dopo un attacco terroristico ad una decina di kilometri dal circuito è stato un passo falso di Stefano Domenicali. Le parole del CEO della F1, a cui si sono accodati i team e la FIA, hanno dato l’impressione che il circus si senta ancora una bolla in grado di ignorare tutti gli eventi socio-politici che lo circondano, quando ormai questi sono parte integrante del mondo dello sport. A dare una dimostrazione di sensibilità e contatto con la realtà, ancora una volta, sono stati i piloti, rimasti in piedi fino alle tre di sabato mattina per discutere se correre o meno. Dall’altra parte, invece, nemmeno i missili sono serviti a scalfire le certezze di chi comanda lo sport. Eppure, per uscirne meglio sarebbe stato sufficiente ripetere un semplice “ne stiamo discutendo” fino al giorno dopo, quando i ribelli yemeniti hanno annunciato un cessate il fuoco di, guarda caso, tre giorni: sabato, domenica e lunedì. Viene quasi da chiedersi chi e come li abbia convinti.