F1 Porpoising e motori – In questo periodo di pausa invernale, in attesa dell’inizio della nuova stagione, è tempo di bilanci e riflessioni su quanto visto nel campionato 2022. Negli ultimi giorni, in particolare, hanno tenuto banco le dichiarazioni di Toto Wolff e di Hywel Thomas (direttore del reparto motori della Mercedes) secondo i quali il porpoising oltre ad ostacolare piloti e le prestazioni, ha influito anche sul danneggiamento dei motori.
Per comprendere quanto c’è di vero in queste affermazioni, in questo articolo andremmo ad analizzare alcuni concetti fondamentali e a capire come viene affrontato il problema dell’affidabilità strutturale dei componenti in campo dinamico.
Le equazioni del moto di qualunque sistema, quindi anche di quelli rotanti, possono essere espresse nella seguente forma matriciale generale:
[𝑀]{𝑥̈}+[𝐶]{𝑥̇}+[𝐾]{𝑥}={𝑓}
dove [𝑀] è la matrice di massa del sistema, [𝐶] la matrice degli smorzamenti, [𝐾] la matrice di rigidezza e {𝑥̈}, {𝑥̇}, {𝑥} sono accelerazioni, velocità e spostamenti dei vari gradi di libertà, {𝑓} è il vettore delle forze applicate ai vari gradi di libertà. A seconda delle schematizzazioni utilizzate i gradi di libertà potranno essere di traslazione, rotazione o entrambi per vari nodi della struttura. Nel caso di sistemi rotanti anche le matrici potranno essere più o meno complesse a seconda se si considera l’effetto giroscopico, gli smorzamenti e la flessibilità dei componenti.
Il problema fondamentale in un sistema complesso come una monoposto che corre in pista è andare a riempire i valori di quelle matrici (in base ai componenti che vengono considerati) e soprattutto identificare con precisione le forze in gioco. Quest’ultimo aspetto non è banale, perché quando un corpo complesso come ad esempio un motore vibra è sottoposto a più forzanti. Generalmente un corpo vibra quando è sottoposto a movimenti oscillatori rispetto ad una posizione di riposo. Per identificare le vibrazioni è importante introdurre il concetto di frequenza (che come vedremo ci tonerà utile più avanti). Per frequenza intendiamo il numero di volte che un determinato fenomeno viene ripetuto in un secondo. I segnali di vibrazione in un motore non sono mai a singolo componente, ma già il solo movimento di un pistone nel cilindro provoca più “modi di vibrare”. Se consideriamo tutta la Power Unit e andiamo ad aggiungere le vibrazioni dovute anche al sistema turbocompressore, al motore elettrico, elementi esterni come turbolenze, irregolarità dell’asfalto, ecc.. è facile intuire come tutto il sistema sia soggetto a forzanti di frequenze diverse che agiscono anche contemporaneamente. La loro rilevazione non è per nulla facile soprattutto in un sistema temporale dove è difficilissimo andare a ricavare le singole ampiezze. Per questo per sistemi così complessi si preferisce lavorare nel dominio della frequenza.
L’obiettivo dell’analisi dinamica è quello di andare a verificare che le frequenze proprie del sistema non coincidano con quella della forzante, per non incorrere negli effetti distruttivi della risonanza. Per frequenza propria intendiamo una oscillazione ben determinata dipendente dalle proprietà del sistema fisico, ma indipendente dalla natura dell’impulso dato. Pensiamo ad esempio a una corda di una chitarra che oscilla dopo essere stata “pizzicata”. Una volta dato l’impulso questa vibra liberamente a una frequenza ben precisa (che è quella propria della corda).
Oltre all’aspetto appena descritto bisogna anche tener conto della resistenza strutturale del sistema, in particolar modo quando è sottoposto a cicli di fatica.
Infatti fino a circa la metà del diciannovesimo secolo gli ingegneri trattavano i carichi variabili o ripetuti allo stesso modo dei carichi costanti nel tempo, tranne per il fatto di impiegare maggiori coefficienti di sicurezza. I primi studi sono iniziati seguito di una serie di rotture di assi ferroviari progettati per resistere a carichi statici ben superiori a quelli cui invece avveniva il loro improvviso cedimento. Le rotture per fatica hanno inizio con una piccola (di solito microscopica) frattura posta in una zona critica, caratterizzata da elevati livelli locali di tensione. Questa si trova quasi sempre in corrispondenza di zone di concentrazione delle tensioni. La rottura per fatica ha origine da deformazioni plastiche ripetute tipicamente dopo migliaia o perfino milioni di cicli di piccole plasticizzazioni. Senza deformazioni plastiche cicliche la rottura per fatica non può avvenire.
Come abbiamo già accennato, i componenti strutturali nella realtà sono soggetti a storie di carico nelle quali i cicli di fatica hanno ampiezze variabili. La stima della vita a fatica in queste condizioni è un problema ancora non del tutto risolto, appunto perché è difficile andare a caratterizzare tutte le forze in gioco se non andando ad utilizzare dati sperimentali. Ci sono ancora molti studi a riguardo e questo problema è uno dei principali temi di ricerca per dottorandi, post-doc e ricercatori in ingegneria meccanica.
L’approccio più semplice che di solito viene utilizzato per approssimare il danneggiamento cumulativo a fatica è quello di Palmgreen-Miner. Il concetto proposto è molto logico e si basa sul fatto chese un componente è caricato in modo ciclico ad un livello di tensione capace di causarne la rottura in 10^5 cicli, ciascun ciclo a tale livello di tensione consuma una parte pari a 1/(10^5) della vita totale del componente. Se vengono interposti altri cicli di tensione cui corrisponda una durata di 10^4 cicli, ciascuno di questi consuma una parte pari a 1/(10^4) e così via. Su questa base si prevede che la rottura per fatica abbia luogo quando è stato esaurito il cento per cento della vita disponibile.
Ma se il fenomeno che stiamo studiando è di natura aleatoria come nel caso di una monoposto che sfreccia in pista le forzanti non posso essere descritte mediante funzioni deterministiche del tempo. In molti casi una descrizione della risposta strutturale può essere ottenuta solo in senso statistico, mediante la creazione di uno spettro di carico di tipo random. Senza entrare maggiormente nel dettaglio (vista la complessità del problema), nella valutazione del danno a fatica prodotto da un processo aleatorio di carico, in alcuni studi viene considerata la sequenza degli estremi di ciascun campione (quindi considerando i picchi massimi e minimi relativi).
Dalle considerazioni che abbiamo appena effettuato vediamo quanto sia importante conoscere il contenuto in frequenza di una data sollecitazione. E allora per dare qualche numero, sappiamo che la FIA ha valutato il porpoising in una oscillazione di 7 Hz. Se banalmente consideriamo i giri massimi di rotazione dell’albero a camme di un motore, della MGU-K e MGU-H avremo rispettivamente 15.000 rpm, 50.000 rpm e 125.000 rpm. Facendo la conversione in frequenza otteniamo rispettivamente 250 Hz, 833,33 Hz, 2083,33 Hz.
E’ chiaro che parliamo dei valori massimi ma se anche prendessimo i valori medi comunque siamo più di un ordine di grandezza sopra ai 7 Hz valutati per il porpoising. Certamente poi vanno considerati i valori delle ampiezze delle forzanti. Ma nel caso del porpoising parliamo della sola forza peso, e come ribadito anche dall’ Ing. Werner Quevedo, durante la puntata n° 122 di Formula 1 Garage, qualsiasi struttura è in grado di resistere al proprio peso, a maggior ragione con una ripetizione ciclica non così elevata. Volendo considerare anche solo semplicemente il metodo di Palmgreen-Miner l’apporto del porpoising nel danneggiamento cumulativo è praticamente trascurabile rispetto alle altre variabili. Dove potrebbe aver influito invece potrebbe essere sui vari elementi accessori non legati strettamente al motore per i quali non viene effettuato il dimensionamento a fatica (altro concetto ribadito durante la puntata).
Rimane da valutare la verifica delle frequenze proprie. L’obiettivo è quello di non far coincidere le frequenze proprie con quelle delle forze in gioco. Per la complessità del problema non si vanno a risolvere le equazioni differenziali enunciate a inizio articolo, ma vengono fatte delle analisi multi-body o agli elementi finiti (FEM). I progettisti dimensionano i vari componenti e gli smorzatori in modo da evitare la risonanza. Una frequenza di 7 Hz si discosta molto da quello che è il range di funzionamento e soprattutto è un valore ciclico molto piccolo. Le frequenze proprie di un qualsiasi sistema meccanico hanno valori molto superiori.
Questi concetti possono essere estesi anche alle “voci” che volevano una Ferrari non così aggressiva nel “mordere” i cordoli dopo la seconda metà del campionato per cercare di non danneggiare il motore. Le vibrazioni dovute ai cordoli dovrebbero essere dei dati a disposizione nel modello statistico nello studio della resistenza a fatica nel caso di carichi di tipo random. E comunque le frequenze non dovrebbero essere particolarmente elevate, anche considerando che una monoposto non viaggia sempre sui cordoli. Per quanto si è visto il motivo va cercato altrove. Da alcuni onboard si può vedere come la macchina da un certo punto in poi della stagione sia diventata molto rigida e perdeva stabilità aggredendo i cordoli.
In conclusione possiamo dire che il porpoising nel 2022 ha sorpreso tutti i team, ma nel corso della stagione hanno avuto modo di studiare il fenomeno e archiviare molti dati. Per questo ora per la progettazione delle nuove vetture (anche alla luce delle modifiche al regolamento) terranno sicuramente conto di tutta l’esperienza fatta.