L’anomalo weekend di Losail ha fatto emergere tante delle contraddizioni che caratterizzano la F1, tra vera sicurezza e piloti stremati.

Ci sarebbero tante cose da dire su quanto accaduto in pista lo scorso weekend, quando la F1 è tornata a correre dopo due stagioni in Qatar, in un circuito di Losail molto ammodernato in termini di imponenti e appariscenti infrastrutture nel paddock. Si potrebbe parlare del terzo titolo mondiale conquistato da Max Verstappen, dello straordinario dualismo tra i piloti della McLaren, del il suicidio della Mercedes e anche delle performance deludenti della Ferrari. Di fianco alla gara di domenica, però, è inevitabile inserire un asterisco per sottolineare quanto il vero spettacolo della F1, ossia la competizione in pista, sia stato macchiato e compromesso da fattori esterni, legati quasi esclusivamente ad un’organizzazione scadente dell’evento.

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Oltre all’aspetto molto kitsch del nuovo paddock, all’impianto di Losail era stata richiesta un’ulteriore e ben più importante modifica in vista del ritorno della F1: sostituire i vecchi cordoli piramidali, demolitori di fondi, pneumatici, ali anteriori e perfino telai nel 2021, con altri bordi rialzati meno aggressivi. Il risultato, però, è stato a dir poco deludente, e la situazione sembra addirittura essere peggiorata per quanto riguarda le gomme. Anche la riasfaltatura ha lasciato molto a desiderare, dato che il circuito ha fornito pochissimo grip per l’intero weekend: una circostanza che ha ricordato molto quella dei GP di Turchia e Portogallo del 2020, quando la F1 è stata la prima categoria a correre su un tracciato appena riasfaltato. La categoria regina raramente impara dai propri errori, e la scarsa attività in pista regalata dalla Sprint non ha certamente aiutato le vetture e i piloti ad esprimere il massimo del potenziale.

La prima riflessione che emerge è l’insensatezza di modificare il format su un tracciato sostanzialmente nuovo. Quando è stato stilato il calendario, la categoria regina e la FIA erano ben a conoscenza delle profonde modifiche effettuate, tali da spingere tutte le scuderie a descrivere il circuito come una sfida completamente inedita, nonostante l’evento del 2021. Tra l’altro, nessun’altra categoria aveva corso prima della F1 sul tracciato riasfaltato, lasciando le monoposto di F1 a depositare grip in pista. Nel post gara questo problema è stato segnalato da Max Verstappen, il quale ha sottolineato che si tratta di un errore far correre per prime le vetture più veloci del pianeta su un tracciato appena riasfaltato. La scarsa aderenza ha dato un’idea di una disorganizzazione generale dell’evento, che poi è scoppiata con la questione cordoli con il solito caos legato ai track limits.

I limiti della pista sono stati gestiti alla solita maniera dalla FIA: sono stati controllati quanti più casi possibile in diretta, affidandosi alle segnalazioni delle scuderie in caso di infrazioni sfuggite ai commissari o al remote garage di Ginevra. In questo senso, poco cambia rispetto a quanto emerso dopo il farsesco GP d’Austria: spetta ai singoli circuiti trovare la soluzione, ma la F1 e la FIA, da parte loro, devono spingere per l’implementazione di queste costose modifiche. Ghiaia, erba, sabbia: tutti questi deterrenti naturali permetterebbero di chiudere per sempre la questione. Il problema, però, è che i circuiti devono accontentare più categorie differenti, e non è un caso che i tracciati più problematici in questo senso siano Spielberg e Losai, dove corrono sia la F1 sia la MotoGP, che hanno necessità ben differenti in termini di vie di fuga. Ed anche ad Austin ci sarà da divertirsi.

ferrari F1 qatar

Il lavoro scadente sui cordoli è tuttavia quello che ha provocato le conseguenze più gravi per il weekend, compresa la tortura che i piloti hanno dovuto affrontare alla domenica. In primis, è da sottolineare la totale inefficienza comunicativa tra la FIA, gli organizzatori qatarioti e Pirelli. Secondo quanto affermato da quest’ultima, infatti, nessuno ha comunicato al fornitore di pneumatici l’estensione delle modifiche effettuate ai cordoli, nonostante le numerose rotture del 2021. Pirelli non aveva quindi modo di prevedere eventuali problemi, quindi è stata colta di sorpresa quando ha riscontrato, in seguito alle analisi al microscopio, delle piccole lacerazioni sulle gomme causate dal prolungato passaggio sui bordi rialzati. Una mancanza di comunicazione e negligenza inaccettabile tra la Federazione, l’organizzazione locale e il fornitore di pneumatici, tre dei pilastri che dovrebbero garantire la corretta esecuzione di un Gran Premio.

Invece, in Qatar si è visto uno spettacolo assai deludente, dato che l’imposizione di un limite di diciotto giri per ogni stint e delle tre soste ha cancellato buona parte della componente strategica. Chi ha salvato più set di gomme medie e dure, come Verstappen e Zhou, è stato avvantaggiato da un fattore esterno, anche se ciò non va ad intaccare la bella prestazione dei due. La gara, però, è stata in sostanza una sequenza lineare di pit stop programmati, con pochissimo spazio di manovra per gli strateghi e i piloti. Ciò non significa che la scelta di imporre il limite di giri sia sbagliata: la Pirelli e la FIA hanno fatto quello che potevano per permettere all’evento di andare avanti nella massima sicurezza possibile. A questa situazione, però, non si doveva giungere in principio, viste anche le conseguenze fisiche terribili che questo tipo di gara ha provocato nei piloti.

Con quattro stint da disputare, era chiaro sin dall’inizio che il Gran Premio sarebbe stato molto duro, dato che in sostanza si sarebbero disputate quattro Sprint. Già al sabato, dopo diciannove giri e tre Safety Car, i piloti erano piuttosto sfiancati, e le tre soste obbligatorie li hanno costretti a spingere dall’inizio alla fine, con possibilità di gestire ridotte al minimo visto il degrado contenuto. Se a ciò si aggiungono il layout del tracciato, molto duro fisicamente per i piloti, e le condizioni climatiche estreme, caratterizzate da un caldo atroce all’interno dell’abitacolo (80°C), un’umidità sfiancante e l’assenza di vento, ecco che non sorprende affatto aver visto un numero enorme di situazioni potenzialmente pericolose.

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Da Ocon, costretto ad ingoiare il suo stesso rigetto per rimanere in gara, a Stroll, crollato per lo sfinimento dopo aver raggiunto a fatica l’ambulanza, tutti i piloti hanno dato dimostrazione di quanto distruttiva possa essere una gara di F1 per il corpo umano. Nessuno lo ha fatto come colui che è divenuto il simbolo del weekend di Losail: Logan Sargeant, costretto in un atto di grande responsabilità e maturità, altro che debolezza, a ritirarsi dopo aver sofferto un colpo di calore all’interno della vettura. La retorica del pilota-eroe, quello che sviene dopo lo sforzo immane di un Gran Premio, non è più accettabile nell’epoca moderna, soprattutto quando sono prevedibili fattori esterni e non l’impresa sportiva in sé a metterne in pericolo la salute. Gli standard, fortunatamente, sono cambiati.

Parlare dei pericoli di un potenziale svenimento a trecento all’ora è totalmente superfluo e scontato: la FIA è ben consapevole degli enormi rischi corsi domenica e condurrà tutte le analisi del caso, anche se lo spostamento della gara a dicembre nel 2024 dovrebbe evitare il ripetersi dei problemi di salute. Sicuramente, però, ci sono domande e critiche da sottoporre agli organizzatori. A che serve avere un paddock sfavillante e pacchiano, quando mancano le basi per disputare un weekend in sicurezza? Se c’è una cosa che il weekend di Losail ha dimostrato, è che l’organizzazione di un Gran Premio deve essere studiata nei minimi dettagli, senza negligenze né superficialità. Altrimenti, il rischio è creare un pericoloso effetto domino, che in Qatar ha messo a rischio l’incolumità dei piloti.

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