L’EFFETTO MAGNUS

Un curiosissimo esempio di resistenza aerodinamica da strato limite, oltre a quello del fondo piatto, è l’effetto Magnus.

Tale fenomeno è causato dall’interazione tra il flusso d’aria e la rugosità superficiale di un oggetto cilindrico posto in rotazione al suo interno.

Per il caso delle auto da formula è visibile sul battistrada degli pneumatici.

Sicuramente, è una situazione che merita una spiegazione approfondita. Spesso se ne sente parlare, soprattutto nell’ambito delle categorie a ruote scoperte ed è quindi meglio fare chiarezza. Prima della descrizione vera e propria di ciò che succede attorno alle ruote di una vettura da formula (generica), però, è importante effettuare una premessa.

UNA PREMESSA

È vero che, intuitivamente, si potrebbe pensare che ogni auto da corsa con ruote esposte al flusso possa trarre vantaggio dall’effetto Magnus. È vero, inoltre, che si presenta come un ottimo pretesto per spiegare a livello pratico come si comporta lo strato limite, descritto da un punto di vista teorico al seguente link: LINK ALL’ARTICOLO TEORICO. Nonostante ciò, vista la realtà fisica in cui operano la formula 1, la formula Indy, la Formula E, e molte altre auto a ruote scoperte, la situazione si complica per via della vicinanza tra ruota e asfalto e tra ruota e le altre appendici aerodinamiche.

In prima analisi, quindi, si accetti tanto la descrizione teorica, che di per se è fondata su principi corretti e solidi, quanto il fatto che non sempre questa vale per il caso delle corse, nonostante spesso si possa sentir dire il contrario. Si capirà come mai.

COME FUNZIONA

L’effetto Magnus, come detto, è dovuto alla rotazione della ruota, la quale, con la rugosità superficiale, trascina con se le molecole di flusso che scorrono più vicini ad essa.

Ogni particella a diretto contatto o molto vicina alla parete esterna dello pneumatico viene letteralmente “raccolta” dalla rugosità, che la porta a deviare dal percorso teorico e più intuitivo. Parte del flusso interessato aggirerà l’elemento sul lato opposto rispetto a quello sul quale sarebbero scivolato.

Segue lo schema riassuntivo.

Come visibile, in presenza di rugosità (quindi sempre) la distribuzione del flusso è sbilanciata attorno alla ruota.

Parte delle traiettorie, trascinate dalla rotazione dell’oggetto, cambiano rapidamente direzione per aggirare il corpo sul lato apparentemente meno intuitivo.

GLI EFFETTI

  • La parte di gas che ancora scorre dal lato superiore viene rallentato, sfregando sulla superficie rugosa.
  • La porzione di gas che cambia direzione passando sul lato inferiore non viene rallentata e, anzi, percorre un percorso più lungo nella stessa quantità di tempo. Inoltre, con l’ausilio della rugosità, che in questo caso la trascina con se, fluisce senza troppi attriti.

Un flusso estremamente più veloce sotto la ruota ed uno molto lento al di sopra generano uno squilibrio di pressione tra i due lati: questo genera la portanza.

L’EFFETTO MAGNUS APPLICATO ALLE CORSE

L’effetto Magnus funziona così, ma si volga lo sguardo alle macchine da corsa con ruote scoperte per capire come mai non sia sempre applicabile con semplicità.

Si presenta immediatamente la problematica del distacco da terra: le automobili aderiscono al suolo proprio grazie agli pneumatici. Questi, a loro volta, devono essere ben saldi al terreno e quindi non permettono il passaggio dell’aria sul loro lato inferiore. Se fluisse aria tra asfalto e pneumatico, significherebbe assenza di contatto tra questi. Ovviamente, la logica conseguenza sarebbe come minimo paradossale per il funzionamento del veicolo stesso.

In questo senso, tutta la parte di flusso che dovrebbe fluire sotto la ruota non ha un passaggio. In conclusione, si verifica l’assenza di corrente fluida e, quindi, di depressione rispetto al lato superiore.

Inoltre, la ruota non è solitaria e si circonda di molte altre appendici aerodinamiche. L’alettone frontale, il fondo piatto, le sospensioni e molti altri componenti disturbanti, accavallano gli effetti tra loro creando grande instabilità nel flusso. Non si può certo dire che la corrente raggiunga lo pneumatico con le caratteristiche richieste dall’effetto Magnus.

In definitiva, dopo aver capito come funziona, nonostante si senta spesso enunciare, l’effetto Magnus sulle auto a ruota scoperta è tutt’altro che scontato. Si può ipotizzare che sì, rallenti il flusso sul lato superiore aiutando in parte la deportanza. Ll’entità del vantaggio, però, non è di certo apprezzabile.

Sicuramente rimane un ottimo esempio applicativo per comprendere a meglio lo strato limite e le sue potenzialità, visto che questo pervade ogni centimetro quadrato delle pareti esterne appartenenti al veicolo.

A presto, con il nostro consueto appuntamento di tecnica e aerodinamica.

Dell’ing. Alberto Aimar.

 

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