Incidenti F1 – 1989, circuito di Estoril (PT) Nigel, è in testa. Entra ai box per il pit stop ma frena tardi ed è terribilmente lungo mancando la piazzola. Inserisce la retromarcia, parcheggia, e i ragazzi del box si mettono al lavoro. Pochi giri e la direzione gara gli mostra la giusta bandiera nera…
2021 circuito di Imola (IT), Lewis nell’inseguire Max sbaglia durante un doppiaggio e finisce fuori pista. Inserisce la retromarcia e rientra in pista ripercorrendo tutta la via di fuga. La direzione gara non indaga…
Premesso che sotto ogni punto di vista la prima decisione è perfetta e priva di qualsiasi obiezione sulla seconda entriamo in una “zona grigia” del regolamento.
Di fatto la manovra non è vietata purché questa non crei pericolo.
Ecco, è su questo pericolo che, secondo me, c’è molto da discutere e migliorare nel motorsport. I Team Radio del muretto Mercedes e degli altri piloti in arrivo nella zona del misfatto, oltre alle bandiere esposte, fanno supporre alla direzione gara che tutto si sia svolto evitando situazioni di pericolo “extra” a quelle normali di gara. Ritengono che la manovra non sia stata avventata e pericolosa. Opinione sicuramente discutibile e molto border-line, con la quale non condivido ma nemmeno grido allo scandalo. Non grido allo scandalo perché a stretto giro di regolamento la decisione presa ci sta, non condivido perché sulla sicurezza non si fa mai abbastanza.
Si è fatto tanto, ma se oggi siamo a questo punto, domani possiamo (dobbiamo) essere un po’ più avanti.
Il rischio zero non esiste, ma abbiamo il dovere di cercare di avvicinarlo il più possibile.
Vorrei ripercorrere velocemente la storia della F1 in questa chiave, un po’ diversa dal solito, toccando ferite e situazioni che è imperativo tenere a mente.
Le auto, inizialmente, erano assolutamente prive di qualsiasi sicurezza per il pilota. Un casco di cuoio, un volante di legno e acciaio, un sedile senza cinture di sicurezza e la speranza di atterrare “morbidamente” dopo esser stati sbalzati fuori, come successo a Hermann all’Avus nel 1959 o a Cliff Allison a Monaco nel 1960.
Le strutture dei tracciati non erano tanto migliori, il bordo pista era spesso un muretto o un semplice terrapieno sul quale assiepare il pubblico. È così che Von Trips muore assieme a 14 tifosi a Monza nel 1961.
Le balle di paglia ammorbidiscono un po’ gli urti ma non possiamo non considerarle un elemento determinante nell’incidente fatale a Lorenzo Bandini a Monaco nel 1967.
Si migliorano molto le auto, che diventano anche più veloci e a bordo pista spuntano i guard-rail. Strutture metalliche in grado di assorbire gli urti contenendo l’uscita di pista delle auto proteggendo il pubblico. È la soluzione migliore per l’epoca, ma non basta a salvare la vita a Jochen Rindt nel 1972 a Monza e a Francois Cevert a Wartkins Glen nel 1973. La tragedia del giovane pilota Tyrrell porta al ritiro anticipato di Stewart dalle competizioni ed è sicuramente parte fondamentale del suo indefesso impegno sul fronte della sicurezza negli autodromi.
Si passa così alle reti multiple di contenimento piantate nel prato a bordo pista, ma palesano da subito dei grossi limiti e si assiste agli scioperi dei piloti, come in Spagna, al Montjuich nel 1975. I piloti ritenevano, a ragione, il circuito non sicuro.
In quell’occasione, dopo le polemiche, la gara prese il via per quasi tutti. Fittipaldi decise di restare ai box, altri fecero solo un giro, altri continuarono fino al 25° giro, quando Rolf Stommelen, per la perdita dell’alettone, finì nel pubblico uccidendo 4 persone.
Con l’incidente occorso a Tom Pryce nel 1977 in Sud Africa, colpito dall’estintore di un commissario investito attraversando la pista, si inizia a parlare insistentemente di preparazione del personale di pista. Questo non aiuta né Ronnie Peterson a Monza nel 1978 (perito per embolia gassosa a seguito delle fratture subite nell’incidente), né Riccardo Paletti in Canada, ma la strada ormai è finalmente segnata. Piste e personale devono essere all’altezza delle auto in gara ed così che i leoni della CEA salvano la vita a Gerard Berger a Imola nel 1989.
Si consolida l’uso della sabbia nelle vie di fuga nonostante a volte ci si renda conto che, complici i cordoli di forma eccessiva, questa non svolga il suo compito in modo soddisfacente. Capita che le auto entrino nella sabbia galleggiandoci sopra senza perdere velocità, altre volte che si ribaltino subendo stress tali da strappare il roll bar. Chi rientra in pista porta con se una scia di detriti e sporco, il lavoro dei commissari non è aiutato, c’è il rischio di vedere molte più interruzioni di gara per il recupero degli spiaggiati di turno. Si sono fatti esperimenti di ogni tipo, dal creare pendenze, all’arare la sabbia con precisi angoli rispetto la pista, ma il problema non si è mai risolto veramente.
Dopo vari esperimenti si è arrivati a capire che, oggi, forse il miglior rallentamento si ha con l’asfalto e, soprattutto, adeguati spazi.
Oggi, quando sento parlare di “quanto erano belle le vie di fuga in sabbia”, bisogna tornare indietro di 30 anni… un po’ inorridisco. E ancor di più lo faccio quando poi sento: “Eh… ma sono piloti, sanno che rischiano”.
La sabbia funziona sicuramente molto bene a medio basse velocità, ma quando queste si alzano può non assolvere il suo compito nel migliore dei modi.
Per chi lamenta che in seguito alle vie di fuga in asfalto e ai cordoli bassi: sono nati i track limits; siamo al punto che i piloti hanno perso il senso del limite e il rischio ritiro per un “lungo”; che si perde spettacolo in pista; che le piste sono a loro volta snaturate… bhè i regolamenti esistono anche per questo, brutto da recepire, vedere e subire ma preferisco mille volte un risultato a tavolino ad un funerale. Del metro di giudizio e di come siano spesso scritte male le regole se ne parlerà un’altra volta, ma intanto, speriamo che non si fermino all’attuale asfalto, ma che trovino altre soluzioni, sempre migliori, che svolgano il compito di tutelare piloti, pubblico e commissari.
Andrea Brianza