Il 21enne Mick parla del continuo confronto con il papà alla vigilia della sua prima stagione in Formula 1 dopo aver conquistato il titolo in Formula 2

Sono passati sette anni, ormai, dal terribile incidente sulla neve che ha costretto Michael Schumacher ad una delle battaglie più dure della sua vita. Battaglia che è tuttora in corso. Era il 29 dicembre del 2013, infatti, quando il campione tedesco subì una caduta dagli sci che gli provocò gravi danni celebrali. Da allora sul suo stato di salute, e sulla sua riabilitazione, permane un alone di mistero, anche se negli ultimi mesi ci sono stati segnali positivi in merito ad un suo recupero. Stimolato, magari, dal successo in F2 di suo figlio, Mick Schumacher, fresco campione del mondo, e prossimo al debutto in F1.

Uno Schumacher, di nuovo, nella massima competizione automobilistica, con il peso di un cognome enorme sulle spalle. “Non mi infastidiscono i confronti”, dice Mick in un intervista alla Bild. “Per me mio padre è il migliore che ci sia mai stato in questo sport, perchè mai dovrei prendere le distanze da lui”.

E’ un figlio di papà che non se la tira, neppure adesso che è diventato campione del mondo di Formula 2. E, per ora, si sente grato di essere uno dei 20 piloti che prenderà parte al mondiale di Formula 1 del 2021. Al suo fianco mamma Corinna, consigliera dolce quanto ferrea nel difendere la serenità della famiglia, e soprattutto la privacy del marito.

“Sono io a guidare, non il cognome Schumacher”

Il 29 dicembre saranno 7 anni esatti dal tragico incidente sulle nevi francesi di Méribel. Il piccolo Mick era con lui, aveva 14 anni. Padre e figlio stavano sciando insieme con un gruppo di amici. Da allora Corinna protegge lui e sua sorella, Gina Maria, alzando una fortezza inespugnabile.

Le prime gare, Mick, le ha corse con il cognome di sua madre, per correre senza avere addosso la pressione del suo cognome. Poi ha deciso di non nascondersi più, di correre con il cognome Schumacher insieme a lui. E anche se da 7 anni suo padre non può parlagli più, il giovane Mick ricorda ogni insegnamento che Michael gli ha dato. Se poi i paragoni diventano invadenti, è capace anche di zittire tutti. “Alla fine sono io a guidare la macchina, non è il mio cognome”, si difende Mick.

Determinato, perché più che un cognome pesante, il suo è un marchio di fabbrica.

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