GP DEGLI USA: Capire il circuito di Austin

Si vola in America per affrontare il 18° appuntamento stagionale durante il campionato di F1 2018.

La Ferrari dovrà dimostrare di non essere ancora morta mentre la Mercedes, assolutamente in forma, potrebbe già aiutare il proprio pilota a pre-laurearsi campione del mondo. Sulla pista americana, comunque, sarà molta l’attenzione da prestare alla regolazione delle vetture: curve molto veloci ed in sequenza, che ricordano il circuito di Silverstone, si alternano ad un secondo tratto davvero ostico. Conformato da un rettilineo di 1150 metri e da un tratto di curve molto lente, propone un quesito al quale è molto complicato rispondere: alto carico per prediligere le curve, o basso carico per essere veloci sul tratto dritto?

Di fatto, molti rettifili non superano i 400 metri. Risultano essere rettifili di attesa tra una curva e l’atra e quindi non sarà molto facile sfruttare a pieno le unità propulsive. Tra un cambio di direzione e quello seguente, i piloti hanno il quantitativo di tempo sufficiente per re-impostare la curva che segue, senza poter inventare grandi manovre di sorpasso.

Il rettilineo di partenza, oltretutto, non risulta nemmeno così lungo da giustificare un abbassamento delle incidenze sugli alettoni.

Come visibile dal grafico precedente, l’unico tratto dove è possibile dare sfogo alla cavalleria delle power unit super i 1100 metri di lunghezza, ma viene seguito da una parte di pista molto guidata, composta da curve strette e a tornante.

Notare inoltre che, proprio perché molto brevi, la maggior parte dei rettilinei non sarebbero penalizzanti se percorsi con un carico più alto. Le auto sarebbero caratterizzate da una resistenza aerodinamica maggiore la quale, però, non danneggerebbe troppo le prestazioni, viste le basse velocità di punta raggiungibili.

Dopo quanto detto, la prima ipotesi sarebbe quindi quella di concentrarsi sulla deportanza per poter favorire il tratto guidato iniziale e quello finale.

Bisogna ad ogni modo sincerarsi che l’ipotesi possa essere almeno in parte corretta e per farlo, sono inseriti i grafici che seguono:

Il primo grafico parla chiaro: dopo le curve a gomito, molto lente, è necessaria tanta trazione che può essere aiutata solo da un buon carico aerodinamico. Se la percorrenza lungo i tornanti e le curve molto estese è bassa, per poter dare la giusta deportanza è possibile sfruttare l’inarcamento alare e l’incidenza degli alettoni. Da questo punto di vista potrebbero vedersi ali più cariche rispetto a piste come, per esempio, Suzuka. Al contrario di ciò che avviene sul circuito americano, le curve della pista giapponese sono percorribili a velocità molto più elevate, concedendo ottimi livelli di deportanza anche con ali meno inclinate e meno aggressive sul flusso di aria.

La conferma potrebbe apparire dall’ultimo grafico inserito che, praticamente, rimarca il concetto appena evidenziato: essendo il flusso difficile da sfruttare a basse velocità e non dovendo percorrere rettilinei troppo lunghi (eccetto uno), l’idea potrebbe essere quella di aumentare l’incidenza alare.

Una serie di foto corre in aiuto dal 2017.  Ferrari ha mostrato profili degli alettoni posteriori molto differenti tra la due occasioni prima citate, Suzuka e Austin, montando ali più accentuate in occasioni del GP degli USA.

In conclusione, la ridotta lunghezza dei rettifili e la necessità di trazione e direzionalità tra le curve a tornante potrebbero richiedere un surplus di deportanza.

Staremo a vedere fin dal giovedì, quando le auto verranno scoperte e le novità aerodinamiche diventeranno visibili.

Non mancheremo di aggiornare riguardo a novità e modifiche applicate alle monoposto. Fino ad allora, attendiamo impazientemente per l’inizio dello show!

A presto!

Dall’ing. Aimar Alberto.

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