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La F1 moderna è fatta di simulazioni, algoritmi e procedure rigide. Ma c’è stato un tempo in cui il “manico” dell’ingegnere di pista e il feeling del pilota potevano ribaltare le gerarchie aziendali. Ai microfoni di NewsF1.it, l’Ingegnere Luigi Mazzola ha raccontato un incredibile retroscena del 1991, svelando come salvò i weekend di gara di Alain Prost “tradendo” i grandi capi tecnici della Ferrari.
Nel 1991, la Ferrari viveva un momento di profonda trasformazione tecnica. A guidare il progetto c’erano geni assoluti come John Barnard e guru dell’aerodinamica come Jean-Claude Mignot. Tuttavia, il loro approccio era estremamente rigido: la macchina doveva essere settata secondo le loro teorie, indipendentemente dalle sensazioni del pilota.
F1 – Lo scontro tra Teoria e Pista
In quel box c’era un giovane Luigi Mazzola, incaricato di gestire la vettura del “Professore”, Alain Prost.

“Barnard e Mignot imponevano certe direzioni su come la vettura dovesse essere settata”, ricorda Mazzola. “Se il pilota non riusciva a guidarla, per loro il problema non era la teoria, ma il pilota stesso. Io vedevo Alain in difficoltà, mi diceva ‘Luigi, non riesco a guidare così’, ma durante il venerdì avevamo le mani legate”.
Il piano segreto del Sabato mattina
La svolta avveniva quando i “grandi capi” lasciavano il circuito. Mazzola svela una pratica che oggi sarebbe impensabile:
“Aspettavo il sabato mattina. John Barnard solitamente se ne andava via e io, insieme ad Alain, cambiavo tutto l’assetto di nascosto. John non c’era più, Mignot nemmeno, e allora avevamo la libertà di seguire l’istinto del pilota. Prost tornava in pista, sentiva la macchina ‘sua’ e i tempi arrivavano. Quando i capi tornavano e vedevano le prestazioni, non sapevano che sotto la carrozzeria avevamo stravolto le loro idee”.

Una lezione per la Ferrari F1 di oggi
Questo aneddoto non è solo una storia romantica di una Formula 1 che non c’è più, ma una critica feroce alla metodologia attuale. Secondo Mazzola, uno dei problemi della crisi di Lewis Hamilton in Ferrari risiede proprio nella mancanza di questa libertà:
“Oggi l’ingegnere di pista è incatenato. Esistono enti aerodinamici e dinamici che forzano un setup di base e l’ingegnere ha pochissime armi per cambiarlo se il pilota non si ritrova. Se un pilota come Hamilton o Prost non sente la macchina, non puoi obbligarlo a guidare secondo un software. Serve la personalità di andare controcorrente per il bene del risultato”.
Il rapporto pilota-ingegnere
Il segreto del successo, conclude Mazzola, resta l’empatia: “Il pilota si affida a te. Se non c’è quella complicità che ti permette di rischiare e cambiare un assetto per venirgli incontro, non vincerai mai, nemmeno con la spaceship più veloce della griglia”.
📽️ Ascolta l’aneddoto raccontato da Luigi Mazzola
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