E’ di poco tempo fa la news dell’abbandono, da parte di Toyota, della commercializzazione in Italia di motorizzazioni a gasolio.
Ma è corretto indicare il Diesel come il “male supremo”  in ottica inquinamento?

Premessa: l’impegno nella riduzione dell’inquinamento (e dell’efficientamento globale delle propulsioni) in ambito Automotive è la chiave di volta per permettere al concetto di mobilità personale tramite veicoli di preservarsi.
Fondamentale e necessaria quindi la ricerca nei diversi ambiti della propulsione (carburanti fossili e bio, ibrido, elettrico, idrogeno).
Ma la domanda è: quanto di concreto si fa per abbattere l’inquinamento e quanto, invece, vi interferiscono pure ragioni di marketing?

Lo spunto viene dalla recente decisione di Toyota, che ha deciso d’abbandonare la vendita delle sue versioni Diesel in Italia (oramai, va detto, contraddistinte da volumi sempre più ridotti) per affidarsi al benzina e, soprattutto, al suo “cavallo di battaglia”, l’ibrido (e prossimamente “microibrido”).

A partire dall’ormai tristemente noto Dieselgate, sembra essere partita una campagna “anti-Diesel” operata, a livello globale, anche dalle amministrazioni locali (un nome su tutte, quella di Parigi, che vorrebbe metterli al bando dal 2025 e già ora pone forti limitazioni alla loro circolazione, in particolare per quelli oltre i 10 anni).
Ma quanto c’è di tecnicamente concreto e fondato e quanto, invece, è dettato dalla fobìa del momento?

Infatti, ad un’analisi più approfondita, vediamo come i moderni Diesel (siamo giunti alla normativa Euro 6 c) dotati filtro antiparticolato vadano a inquinare (in base a studi iniziati nel 2013) anche 10 volte meno dei corrispettivi (per livelli di potenza) motori benzina ad iniezione diretta non ancora, nella maggior parte, dotati di GPF (Gasoline Particulate Filter).

Proprio qui le Case stanno intervenendo: infatti, le normative antinquinamento imporranno obbligatoriamente l’utilizzo dei filtri anti-particolato anche sui benzina ad iniezione diretta.
Ciò è dovuto all’adozione sempre più diffusa dell’iniezione diretta anche nei propulsori a benzina (per ragioni di maggior efficienza e conseguente riduzione dei consumi, con annessa limitazione dei CO2 immessi nell’atmosfera, vero “cruccio” per i Costruttori, in quanto ciò determina “impatto di gamma” e corrispondenti sanzioni), che portano a pressioni d’iniezione e temperature di combustione elevate, generatrici del particolato carbonioso.
Talmente piccolo e leggero, se non “filtrato” con i summenzionati dispositivi,  da bypassare le difese naturali del nostro corpo e insidiarsi direttamente nell’apparato respiratorio.

Quanto costerà l’adozione del dispositivo? Si dice intorno ai 50 Euro per veicolo (lato OEM), un costo quindi inferiore rispetto ad un FAP per Diesel.
E qui sta la ragione dell’abbandono progressivo del Ciclo Diesel: i maggiori costi di produzione, più che l’inquinamento prodotto.
Già adesso i costi elevatissimi stanno decretando la “morte” dei Diesel di piccola cilindrata, che andranno progressivamente a sparire dalle gamme prodotto (rimanendo solo nelle versioni di più grandi cilindrate, caratterizzate da margini di guadagno più elevati).
Inoltre, la progressiva campagna mediatica dell’ “elettrico come risorsa immediata per la mobilità” (ma è veramente sostenibile in tutta la sua “catena di produzione/utilizzo”?) darà il colpo di grazia a questa motorizzazione.

Come detto all’inizio, la riduzione di consumi e impatto ambientale sono un “mantra” fondamentale e corretto, da perseguire nel suo significato più “puro”.
Ma se questo verrà utilizzato più per accrescere i propri fatturati che per portare benefici alla collettività, andrà a snaturare l’essenza primaria (quella della mobilità per tutti a costi abbordabili) su cui si basa la motorizzazione di massa, rendendola “elitària”.

Facendo così sembrare ancora più lontane le idee di figure cardinali della storia dell’automobile come Henry Ford (“C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”) o, restando in “casa nostra”, di Vittorio Valletta (l’operaio come primo cliente dell’auto che produce), “padre” della motorizzazione di massa in Italia, fenomeno socio-culturale che ha contribuito a creare questo Paese come ora lo conosciamo.

di Giuseppe Saba (Twitter: @saba_giuseppe)

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