Vettel e la Scuderia sfruttano il momento fortunato dato dalla Virtual Safety Car e conquistano il primo alloro stagionale.
Mercedes non mostra in gara la stessa supremazia sfoggiata in qualifica (con “giallo” nel finale per Hamilton).
Il Mondiale F1 2018 riprende da dove ci eravamo lasciati.

“What goes around comes around”, rispondeva così ieri Vettel alla frecciata di Hamilton, dopo che il campione della Mercedes aveva conquistato una pole-position annichilente per gli avversari.

Ma la gara ha poi detto delle cose leggermente differenti.

Certo, Mercedes rimane davanti, e senza la Virtual Safety Car, intervenuta per lo stop in pista della Haas di Grosjean (la “ex Ferrari SF70-H” del team americano si era dimostrata velocissima e “prima degli altri” in pista, ma l’assurdo problema alle pistole pneumatiche durante i pit hanno costretto i due piloti al ritiro, vanificando tutto), la Ferrari n° 5 avrebbe “pittato” rientrando alle spalle dell’alfiere della Stella.
Ma anche quando era davanti Lewis non è mai riuscito a “fare il vuoto” rispetto alle due Rosse inseguitrici.

E qui partono le prime considerazioni, prendendo spunto anche dalle prestazioni deludenti dell’altra Mercedes di Bottas (che mai ha mostrato, nella sua risalita in gara, d’avere una supremazia di motore, nonostante le 3 zone DRS utilizzabili in Australia quest’anno) e da tutti gli altri team motorizzati “made in Brixworth”.

In qualifica, a causa della maggior difficoltà nel controllo consumi olio (quest’anno 0,6 l/100 Km), Mercedes, con la sua Power Unit “riprogettata di fresco” per il 2018, riesce ad incrementare, in qualche modo, la sua performance ben più rispetto a quanto ottenibile dagli avversari.
Un vantaggio che sul giro s’è visto valere almeno 4-5 decimi (il resto ce lo mette Hamilton, che sul giro secco è formidabile).

Ma in gara, visti i controlli più stringenti, questa strategia motore (definita ieri da Toto Wolff “party mode”) è molto meno utilizzabile, e se si va oltre (come probabilmente avvenuto oggi, quando Hamilton, alle spalle di Vettel, cercava di riguadagnare la posizione persa ai box), costringe il pilota a ritornare su strategie “ben più miti”, che rallentano la vettura.

Potrebbe essere interpretato così lo “smanettìo” al volante dell’inglese (sul volante per un attimo si è letto il termine “attack” relativo alla mappa motore più estrema) ed il suo successivo rallentamento (giustificato a fine gara con la necessità di preservare gomme e P.U., che, ricordiamolo, dovrà durare per almeno 7 weekend), che quasi mettevano a rischio il suo secondo posto davanti a Raikkonen e Ricciardo (anche la Red Bull pare aver perso prestazione in gara: forse la “sospensione autolivellante” mette in crisi l’usura gomme posteriori, visto il tanto sovrasterzo accusato dalle monoposto di Newey).
Fuel saving, o magari oil saving, vedremo…

E qui entra in gioco la Ferrari.
Nonostante un balance aerodinamico da migliorare (sotto e sovrasterzo, figlio del compromesso dato dal carico aero posteriore inferiore alle attese, che ha messo in difficoltà più Vettel che Raikkonen), la SF71-H ha mostrato comunque un ottimo controllo del degrado gomme (in particolare con le Pirelli Yellow Soft utilizzate per l’ultimo stint di gara), e l’assetto aerodinamico scarico ha consentito alla n°5 e alla n°7 di rintuzzare agevolmente gli attacchi di chi inseguiva dotato pure  di DRS (anche grazie alla Power Unit 062 Evo, sembrata potente e parca nei consumi anche sotto il cofano Haas, le Ferrari sono state al vertice nelle velocità massime).

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Il margine Mercedes in gara si è così ridotto a 1-2 decimi massimo in modalità “Race” (quando non utilizzava il famoso “manettino”), e considerando l’assetto non perfetto di Vettel, sarebbe anche potuto, in altre condizioni, tramutarsi in uno svantaggio.

Certo è che a Maranello dovranno lavorare intensamente per incrementare il carico senza penalizzare col drag aerodinamico la velocità della vettura (è probabile che s’interverrà nuovamente su fondo e diffusore, che con quel sistema di canalizzazioni lato cambio aveva destato più di un’attenzione da parte della concorrenza), oltre che per “trovare” una strategia che incrementi ancor più la prestazione della Power Unit nelle Qualifiche 3, ma iniziare la stagione con un successo (seppur in parte fortuito) è il miglior viatico per “liberare” tutto il margine di sviluppo insito nella SF71-H.

Detto già di Haas e Red Bull, da registrare l’incoraggiante quinto posto di Alonso con la sua McLaren “a panino” tra le due Red Bull pari-motorizzate Renault (nonostante una maggior velocità in curva le due monoposto austriache non “mettevano le ali” in rettilineo: maggior resistenza aerodinamica?) e la prestazione da rivedere delle Renault “ufficiali” (Sainz ha anche accusato qualche acciacco fisico in vettura).

Alfa Romeo Sauber che, col debuttante Leclerc, stacca la Williams di Stroll al penultimo posto (francamente imbarazzanti le scelte di piloti di questa scuderia), e Toro Rosso “ancorata” al fondo dalla “zavorra” Honda (in Red Bull sono davvero sicuri di voler passare per il 2019 a questa Power Unit?), chiudono le considerazioni su questa gara.

E aprono già quelle sulla prossima, tra 15 giorni in Bahrain, pista lo scorso anno “amica” della Ferrari.
Vedremo se la Rossa continuerà il suo “percorso d’apprendimento” della nuova monoposto a passo più lungo, o se la Mercedes darà sfogo alla sua “sete di rivincita”.
Senza dimenticarsi di Red Bull, che nonostante un tracciato con tanti allunghi, potrebbe comunque dire la sua.

di Giuseppe Saba (Twitter: @saba_giuseppe)

 

 

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