A Le Castellet tutto è tornato nella “norma”: Sebastian Vettel è tornato prepotentemente al centro delle critiche dopo la tregua concessagli dai media (e non solo) durata dalle ore 15 del sabato del Gran Premio del Canada, fino al 48esimo giro dello stesso.

Sono bastate soltanto due settimane, con un settimo posto in qualifica (causa problemi tecnici sulla Ferrari SF90 numero 5) e un quinto posto in gara nel Gran Premio di Francia, a far tornare Sebastian Vettel al centro della gogna mediatica. Non che se ne fosse mai liberato veramente del tutto, neanche dopo la straordinaria vittoria “fantasma” di due settimane fa in Canada, contro un binomio Hamilton-Mercedes che ne aveva palesemente di più. Una sola, piccola imprecisione nel corso dei settanta giri percorsi, pagata un prezzo troppo elevato. Una sola, piccola sbavaturina che, verrebbe da dire, era quasi inevitabile, dal momento che, a qualsiasi persona intellettualmente onesta bastava osservare qualche minuto dell’onboard del pilota tedesco della Ferrari per capire che stesse facendo “i salti mortali” per non concedere occasione alcuna all’alfiere della Mercedes di sferrargli un attacco. Traiettorie da qualifica per tutti e settanta i giri, con punti di frenata che variavano ad ogni giro a seconda di come e quanto carburante dovesse risparmiare, causa una Power Unit Ferrari tanto potente quanto poco parsimoniosa coi consumi.

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Dal possibile trionfo all’incubo

Per chi ancora non fosse convinto di quanto Seb ci abbia messo del suo nella drammatica domenica canadese, basti confrontare i dati delle simulazioni gara del venerdì della Ferrari che, certamente non sono definitivi ma sono spesso piuttosto indicativi, con il passo gara effettivo tenuto dal tedesco in gara. Il venerdì la Ferrari, su gomma media, aveva una media di passo sul 17 medio/alto, contro una media sul passo della Mercedes di 16 alto su gomme Hard. La domenica, Vettel, fin dai primi giri, su gomma media, ha girato stabilmente in 16 medio/alto, andando via via ad abbassare sempre di più il proprio crono fino ad arrivare al suo best lap di 14.8 su gomma Hard, segnato con coperture praticamente arrivate a fine vita.

“Il paradosso di Seb”

Da ormai cinque o sei anni siamo di fronte ad un paradosso piuttosto assurdo: un quattro volte campione del mondo che si sostiene debba dimostrare ancora il proprio valore come fosse il Giovinazzi o l’Albon di turno, insomma, un debuttante che deve dimostrare di meritare di correre nella massima categoria. Sebastian Vettel, dopo aver vinto tutto quello che c’era da vincere col binomio Red Bull-Renault, è arrivato in Ferrari nel 2015 mosso dall’amore e dall’ammirazione nei confronti del prestigioso marchio italiano, per seguire le orme del suo idolo Michael Schumacher.

Il fatidico quinto anno in Ferrari

Ad oggi, visti i risultati di questa stagione, sommati a quelli della seconda parte di stagione del 2018, si ha come la sensazione che il ciclo Vettel-Ferrari, arrivato ormai al quinto anno (Schumacher vinse il primo mondiale in Ferrari proprio al quinto anno), stia volgendo quasi al termine, a meno di un improbabile deciso cambio di passo da parte della SF90 o, al più tardi, un’inversione di tendenza col progetto 669 (2020). Dall’esterno è sicuramente difficile valutare la situazione. Ciò che balza all’occhio è che Seb non perde mai occasione per parlare di quanto stia bene e sia felice di essere in Ferrari, difendendola a spada tratta di fronte ad ogni accusa e assumendosi tutto il carico di responsabilità anche quando a sbagliare non è lui. Dimostra il proprio attaccamento alla squadra, di non essersi mai risparmiato in questi cinque anni, qualunque siano stati i risultati, per cercare di raggiungere il proprio sogno di vincere con la Rossa. Ferrari, invece, sebbene ufficialmente davanti alle telecamere dichiari di supportare sempre il proprio pilota di punta, dallo scorso anno sembra aver intrapreso internamente una strada alternativa, dimostrando in qualche modo di aver perso un po’ di fiducia nei confronti del pilota tedesco. La scelta di affiancare a Seb un pilota giovane, arrembante e veloce come Leclerc è stata giustificata come per valorizzare e dare un senso di esistenza alla FDA (Ferrari Driver Academy). L’altra chiave di lettura che invece si potrebbe dare è che Ferrari abbia voluto dare un ulteriore stimolo a Sebastian per non “adagiarsi sugli allori” con le prestazioni offerte, ed eventualmente avere un’alternativa di primissimo livello, peraltro cresciuta in casa (motivo di vanto), nel caso in cui il tedesco non avesse reso come ci si aspettava da un pilota del suo calibro.

Una carriera di successi (in Red Bull)

La sensazione è che Sebastian Vettel valga tutto ciò che ha vinto e, se non ha ancora vinto in Ferrari, evidentemente non si sono presentati i presupposti per farlo. Gli errori del tedesco, naturalmente, non hanno aiutato ma bisogna tenere bene a mente che per battere questa Mercedes invincibile serve che tutto il team lavori in sintonia e si esprima sempre al 100%, fattori che fino ad oggi non si sono praticamente quasi mai allineati. Tutte queste critiche verso l’operato del pilota tedesco risultano ingrate ed ingiuste, in quanto ha sposato il progetto Ferrari alla fine del 2014 nel momento più buio per la Rossa dai tempi dell’arrivo del Kaiser, dando tutto sé stesso per la causa. Sostanzialmente ritengo che siano state più le volte in cui Ferrari non si è rivelata all’altezza di Sebastian Vettel, di quelle in cui il pilota tedesco non è stato all’altezza della macchina. Ma questa è un’altra storia…

Cesare Penco

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