In lettere RO per V per S.

Una semplice formula all’apparenza, ma capace di nascondere al suo interno una quantità immensa di significati.

Scritta così può voler dire poco ai più, ma per chi ne comprende la matematica e, dietro la matematica, i principi fisici che ne derivano, è noto che è in grado di gestire un oggetto all’interno di una corrente di fluido così che questo possa portare i vantaggi sperati. È proprio questo ciò di cui voglio parlare durante l’avventura del campionato di F1 2018 che tutti assieme noi appassionati stiamo per cominciare: discuteremo e analizzeremo le regole che influenzano il gioco, le leggi che guidano i fatti e che alla fine forniscono i risultati.

Nell’anno di gare che sta per cominciare voglio compiere un’avventura all’interno della fisica delle cose e nella fattispecie, nella fisica che permette alle vetture di Formula 1 di essere così veloci e cosi efficaci. Il nostro viaggio sarà orientato unicamente all’aerodinamica per poter dedicare tutto il nostro tempo e tutte le nostre risorse ad uno degli argomenti più importanti nel settore delle vetture a ruote scoperte più popolari del mondo.

Si dice che l’aerodinamica sia preponderante su una F1 ed effettivamente da essa ne derivano molti importantissimi fattori chiave come la velocità di punta (unitamente alla potenza del motore ovviamente) e la tenuta in curva. Per riuscire a capire esattamente come l’insieme di molecole che circonda le vetture possa riuscire a fare la differenza in tutto questo, dobbiamo scendere più a fondo nella questione. Per questo motivo sarà mio interesse cercare di esporre al meglio i moltissimi aspetti che caratterizzano i flussi e governano le pressioni, affinché tutti quanti possano capire ciò che davvero conta per la fisica e l’aerodinamica di una F1.

A questo punto, a convenevoli terminati, possiamo cominciare: parliamo di flussi: la prima riga rappresenta proprio la semplicissima formula che ne descrive le proprietà.

Semplice per modo di dire.

Questa descrive la forte corrente che lambisce una vettura di f1 durante il suo tragitto. Ci sono tre elementi fondamentali: la densità dell’aria e la velocità del veicolo V sono le prime due.

La terza grandezza, S, è una superficie di dimensioni a scelta che in linea di massima viene attribuita alle dimensioni del tubo virtuale all’interno del quale il veicolo stesso corre. Nel disegno che segue si capisce cosa intendo come tubo virtuale.

Il risultato si palesa sotto forma di una portata in massa. Non è contro intuitivo come ragionamento a ben pensarci; La portata in massa è proprio quel grande ammontare di particelle, ognuna con una proprio piccolissima mole, che unite assieme premono indietro la vostra mano fuori dal finestrino quando l’auto su cui vi trovate è in movimento.

In cosa ci può aiutare questa formula? Di base sembra essere innocua, però, ad analizzare la densità, indicata con il simbolo “ , scopriamo per esempio una serie di dati nascosti che è bene comprendere prima di procedere. Se questa è la legge che descrive un flusso di aria e il flusso di aria è ciò che lambisce per intero una vettura da F1 durante il suo moto, allora dovrà ben indicare qualcosa già a questo punto, no?

Nel parametro di densità vengono compresi tre importantissimi fattori:

  • Tipologia del gas
  • Temperatura del gas
  • Pressione del gas.

In questo e nel prossimo capitolo analizzeremo i tre elementi sopra descritti e questo ci serve come base per scendere a fondo nella questione durante il campionato.

Se parlo di tipologia di gas, si potrebbe pensare che non ha senso discuterne perché in fondo è sempre la stessa miscela di ossigeno, azoto, anidride carbonica che compongono l’atmosfera. Se così fosse non avrei problemi a credere che potrebbe bastare un set-up per ogni condizione climatica, eppure quando piove o quando si corre sulle piste della Malesia e di Singapore, dove l’umidità raggiunge livelli record, la miscela sopra elencata varia.

Se ho umidità, significa che molte particelle di vapore acqueo, più pesanti delle molecole dell’ossigeno, si mischiano al mix di cui sopra. Un mix con “tanta acqua” (accettate la semplificazione) è un mix in cui l’ossigeno compare meno.

Quali conseguenze potremmo immaginare? I profili alari, da quelli usati sui velivoli a quelli degli alettoni delle F1, sono studiati per essere immersi in un flusso composto principalmente da gas “leggeri” capaci di aderire alle loro superfici anche quando le incidenze e l’inarcatura impongono loro percorsi estremamente forzati. Ciò significa che molecole pesanti come quelle del vapore acqueo non solo rubano spazio a molecole di ossigeno, ma sfuggono poi all’effetto delle superfici deportanti delle vetture (per motivi di inerzia alle alte velocità). Il risultato è una enorme aumento nella resistenza aerodinamica per spostare “un’aria” più pesante e per non avere comunque un aumento nella deportanza.

Provo a dirla più semplicemente: Se lo stesso circuito di Sepang, copiato in ogni suo dislivello e curva, fosse realizzato in un clima secco come la steppa russa, si potrebbero ridurre di una quantità non indifferente i gradi di incidenza degli alettoni sulle vetture per ottenere la stessa spinta al suolo con resistenze aerodinamiche ben inferiori.

Certamente, parlare di tipologie di gas in questo modo sarebbe quanto meno riduttivo e conosco almeno un valido motivo per affermare ciò: i gas di scarico soffiati. Li ricordate? Anche in questo caso si tratta di un flusso e come tale deve essere descritto.

L’utilizzo di questa soluzione tecnica è dettato dal fatto che le scuderie cercano di sfruttare la velocità V e la densità  del flusso dei gas combusti derivanti dallo scarico. In questo modo, senza nemmeno farlo apposta, nominiamo due dei due principali fattori presenti nella formula in analisi. La miscela bruciata derivante dal motore scorre infatti ben più rapidamente dell’aria all’esterno, specialmente nelle piste dove le velocità medie nel giro sono basse. Parliamo di tracciati come Montecarlo o in tratti lenti come la chicane finale del circuito di Barcellona. Tramite profili alari studiati ad hoc, sia come incidenze che come materiali, anche in questo caso gli ingegneri sfruttano le potenzialità di un fluido in movimento per creare deportanza. È inoltre risaputo che il mix fuoriuscente dal propulsore di una vettura ha densità maggiori del naturale flusso dell’aria che lambisce la macchina durante il suo moto. Per questo motivo le squadre si sbizzarriscono letteralmente per trovare configurazioni originali e performanti anche per quanto riguarda il classico monkey seat. Ricordo la soluzione Mercedes 2014 per il GP di Monaco-Montecarlo come principale testimone degli estri di creatività di utilizzo dei gas di scarico soffiati. La foto di seguito indica il particolare tecnico citato.

Come si può notare, le superfici aerodinamiche per l’utilizzo della miscela combusta dal motore sono ben differenti quanto meno per quanto riguarda il materiale utilizzato. Per questo genere di soluzioni viene utilizzato il titanio: materiale leggero che sopporta meglio le temperature rispetto alle resine polimeriche presenti nei materiali compositi ad alte prestazioni.

Riassumendo quindi quanto detto fino ad ora, possiamo affermare che partendo da una semplice formula come l’equazione dei flussi è possibile scoprire una grande quantità di informazioni utili alla comprensione delle auto di F1. Pensare che di questa formula abbiamo descritto appena un terzo degli aspetti che la caratterizzano è ulteriormente elettrizzante. Vi invito allora alla prossima puntata del viaggio all’interno della fisica delle F1 per continuare a scoprire assieme gli aspetti principali di questi prodigi dell’ingegneria. A presto!

 

Ing. Aimar Alberto

 

 

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