In un momento di decisiva evoluzione in ambito motoristico, La F1 pensa per il suo futuro a motori a 2 tempi.
Ma non è la prima volta che questa tipologia di propulsori viene identificata come “prossimo step in avanti”. Il caso dell’Orbital.

Per bocca del suo Delegato Tecnico Pat Symonds, la F1 s’è detta interessata, per il “dopo Power Unit”, a unità propulsive basate sul ciclo di combustione a 2 tempi (utilizzando carburanti sintetici “green”), per aumentare l’efficienza e ridurre i costi. F1 Motori Orbital

Ma non è una novità che il “2 tempi” venga (ri)pensato come “balzo in avanti” per le attuali attuali unità propulsive endotermiche, anche nelle applicazioni “di serie”, oltre che nel Motorsport (a quattro e a due ruote.)

Guardandoci indietro, ritornano in mente fatti e dichiarazioni dei primi anni ’90, che vedevano Fiat e Ford alle prese con le sperimentazioni, sulla Uno e sulla Fiesta, delle unità propulsive a brevetto Orbital.

Siamo nel 1992, e la Ford fornì in prova alle riviste (e ad una sessantina di clienti europei) degli esemplari di Fiesta equipaggiati con motori a ciclo 2 tempi a iniezione brevetto Orbital di 1197 cc, comprendenti catalizzatore di scarico a due vie, capaci di fornire  80 cv a 5.500 giri/minuto (prestazioni degne degli attuali 3 cilindri, ma qui siamo nel ’92) con consumi inferiori agli standard dell’epoca del 10% nel ciclo extraurbano e ben del 30% in meno in quello urbano.

2 tempi Orbital

Motore 2 tempi iniezione diretta Orbital

Anche Fiat fece lo stesso con la sua Uno dotata di un leggero 3 cilindri a 2 tempi con iniezione Orbital, provata anche dalla stampa Automotive con analoghi riscontri.
Addirittura a Torino, sotto la guida dell’A.d. di allora Paolo Cantarella, avevano pronto sulla carta un 6 cilindri 2.600 cc da 170 cv con consumi irrisori. F1 Motori Orbital

Fiat Orbital

Prototipo Fiat Orbital

Pure Ferrari studiò l’applicazione del concetto del brevetto Orbital, con un prototipo di tricilindrico a schema di lavaggio cilindri a corrente unidirezionale contraddistinto dalla sigla di progetto F134.

Ma allora come mai non abbiamo mai più sentito parlare dei “motori a 2 tempi Orbital” (se non negli scooter di casa Piaggio e Aprilia, o in certi propulsori per motoslitte)?

Pininfarina Ethos a motore brevetto Orbital

Una tecnologia ancora “acerba”

Indubbiamente già per sua concezione un motore a 2 tempi può fornire un rendimento doppio rispetto al 4 tempi (la combustione avviene durante un solo giro dell’albero motore anziché due), insieme a leggerezza e maggior semplicità costruttiva (non sono presenti valvole e alberi a cammes, in quanto l’iniezione della miscela aria/benzina/olio avviene tramite un sistema di luci ricavate nelle pareti del cilindro.

A tutto questo si aggiungevano i miglioramenti dati dal brevetto Orbital (inizialmente facente parte del progetto di un propulsore “simil-Wankel”), che grazie alle ricerche dell’Ing. Australiano Ralph Sarich, aggiungeva un raffinato sistema di iniezione diretta a carica stratificata e a gestione elettronica dove, oltre alla miscela, una componente di aria compressa contribuiva al “lavaggio” del cilindro, migliorando le emissioni inquinanti (che potevano poi essere ulteriormente abbattute tramite catalizzatori) e i consumi, che notoriamente per un 2 tempi “base” erano elevatissimi, a causa dell’imperfetta combustione della miscela.

Difatti, fino ad allora, proprio emissioni inquinanti e consumi elevati erano il vero “tallone d’Achille” di questi propulsori, e il brevetto Orbital (insieme al progresso nei sistemi di catalizzazione degli scarichi) sembrava cambiare completamente le carte in tavola a vantaggio del “2 tempi” sul “4 tempi”.

Ma, come sappiamo, tutto naufragò e cadde nell’oblìo. Perché?

La lubrificazione in un motore 2 tempi avveniva “in perdita” (non poteva essere utilizzato un sistema di lubrificazione con olio in pressione) per nebulizzazione, e parte di quest’olio finiva direttamente nello scarico insieme ad una parte (sicuramente ridotta proprio grazie al sistema d’iniezione dell’Orbital) di idrocarburi incombusti.

Sicuramente gli impianti di catalizzazione potevano migliorare e ridurre notevolmente le emissioni allo scarico, ma la presenza di olio ne avrebbe abbreviato notevolmente la loro durata.
A meno che non fossero state impiegate pompe esterne “di lavaggio” del cilindro (in modo da non disperdere le caratteristiche lubrificanti dell’olio a causa del carburante), comportando però notevoli complicazioni progettuali e aumentando costi e peso.

Inoltre, l’utilizzo di cuscinetti di banco e di biella a rotolamento (non potendo utilizzare le canoniche bronzine per le sopracitate difficoltà di lubrificazione) riducevano di parecchio la durata del motore (pensiamo ad oggi, con motori dalla vita utile anche di 200.000 Km).

Discorsi che però potrebbero cambiare grazie ai notevoli progressi attuali in fatto di tecnologie d’iniezione diretta carburante (uno dei segreti degli alti rendimenti delle attuali Power Unit di F1), di materiali (nanotecnologie e nuove leghe e modalità di realizzazione), e della chimica di composizione per carburanti e lubrificanti.

E proprio a tutto ciò si riferiva Symonds. Non ci resta che attendere i prossimi sviluppi.

Di Giuseppe Saba (Twitter: @saba_giuseppe )

 

 

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