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Ogni anno la storia si ripete. Quando la Ferrari entra in crisi, spunta sempre una nuova “soluzione miracolosa”: la sospensione magica, l’arrivo di Newey o il cambio di team principal.
E ogni anno, puntualmente, nulla cambia davvero.

La sospensione magica: il primo capitolo del copione
È la prima speranza che ritorna ciclicamente: “la sospensione posteriore che cambierà tutto”.
Nel 2023 era quella che avrebbe risolto i problemi di trazione e degrado gomme, nel 2025 la nuova versione “della salvezza”.
È arrivata davvero, ma i risultati sono rimasti praticamente invariati.
Le prestazioni non decollano, la costanza non c’è.
E così, chi aveva promesso rivoluzioni tecniche fa finta di niente, mentre la Ferrari continua a inseguire gli altri.

Poi tocca a Newey: il sogno che torna sempre
Quando la magia della sospensione svanisce, arriva il secondo capitolo del copione: “serve Adrian Newey”.
Il genio dell’aerodinamica diventa il nuovo Messia.
Ogni anno, da più di un decennio, il nome di Newey viene evocato come la soluzione a tutti i mali.
Ma la realtà è che nessun singolo tecnico può cambiare un’intera cultura aziendale.
Newey stesso, nel suo percorso, ha sempre cercato libertà decisionale e un metodo di lavoro rapido, meritocratico e coeso.
Esattamente ciò che oggi manca a Maranello.

“Via Vasseur, dentro Horner!” — il terzo atto
Quando non è la macchina, né la sospensione, né il progettista dei sogni, il colpevole diventa il team principal.
È una costante della storia recente Ferrari: cambiare uomo al comando sperando che basti per invertire la rotta.
Ma ogni volta che si riparte da zero, si perde tempo, continuità e fiducia.
Vasseur ha ereditato una struttura frammentata, dove i reparti non comunicano e le responsabilità si disperdono.
Cambiare ancora significherebbe solo prolungare la crisi.

Il vero problema è dentro Maranello
Il nodo non è tecnico, ma culturale.
A Maranello manca quella coesione che in passato fece grande la Ferrari dei tempi d’oro.
Oggi si parla di aerodinamica, di power unit, di sospensioni, ma la verità è che manca una visione comune.
Ci sono ancora divisioni interne: motoristi contro aerodinamici, giovani contro veterani, ingegneri che difendono il proprio reparto invece del risultato finale.
In un contesto così, anche il miglior progetto nasce con le ali spezzate.
Quando in squadra c’erano figure come Brawn, Todt e Montezemolo, la Ferrari era unita, determinata, con una direzione chiara.
Oggi invece sembra un’azienda burocratica, dove per ogni decisione servono mille riunioni e troppi permessi.
Serve una rivoluzione culturale, non tecnica
La Ferrari non tornerà a vincere con un upgrade o un nome altisonante, ma con un cambio di mentalità.
Serve fiducia, stabilità e una struttura che premi chi porta risultati, non chi evita errori.
Bisogna tornare a pensare come una squadra vincente, dove il rischio calcolato è un valore e non una minaccia.
Solo così Maranello potrà davvero risorgere.
La vera magia che manca
In Formula 1, la differenza la fa la mentalità.
Red Bull e Mercedes hanno costruito la loro forza sulla continuità e sulla fiducia nei propri uomini.
Ferrari invece continua a inseguire la “soluzione magica” di turno, perdendo di vista il vero obiettivo.
Finché non tornerà quella “fame di vittoria” che animava il team ai tempi di Schumacher, nessuna sospensione, nessun Newey o Horner potrà salvare il Cavallino Rampante.
Il problema non è la macchina.
Il problema è dentro Maranello.
Ogni anno la storia si ripete: sospensione, Newey, team principal.
Ma la verità è una sola: il vero miracolo che serve alla Ferrari non si costruisce in galleria del vento, ma dentro le mura di Maranello.
Quando tornerà la mentalità vincente, torneranno anche le vittorie.
Fino ad allora, prepariamoci alla prossima “sospensione miracolosa” del 2026.


