Lo spaventoso incidente dell’Albert Park Circuit di Melbourne, che ha coinvolto Fernando Alonso ed Esteban Gutierrez (fortunatamente senza drammatiche conseguenze, vista la pesante dinamica del crash subìta dall’asturiano della McLaren, costretto, per un problema alle costole, a saltare in via precauzionale la seconda gara del Mondiale 2016 in Barhain), ha riacceso più d’un “campanello d’allarme” sul tema sicurezza in Formula Uno.
Sicuramente tanto è stato fatto dalla FIA negli ultimi decenni, e le recenti affermazioni dell’ex-presidente Mosley (“Alonso non sarebbe sopravvissuto ad un evento del genere vent’anni fa”) sono più che condivisibili.
Ma, personalmente, penso che questo evento debba far riflettere sull’operato più recente, soprattutto in tema sicurezza in pista, della Federazione: le politiche in via di programmazione sono rimedi corretti o solamente degli “espedienti” per “tranquillizzare” tifosi e media dicendo “ok, abbiamo a cuore il problema e ce ne stiamo occupando”?
Mi riferisco in particolar modo al sistema HALO,
sperimentato nei test invernali dalla Ferrari, e alle dinamiche di gestione e d’intervento in pista da parte dei commissari di percorso, soprattutto su quei tracciati ritenuti più “critici” dal punto di vista di sicurezza/vie di fuga. Come, ad esempio, Montecarlo, e lo stesso Melbourne.
Analizzando nello specifico, l’Halo, nella specifica circostanza di Melbourne, avrebbe sì protetto Alonso dalla ruota staccatasi dalla Haas di Gutierrez nel tamponamento, ma non avrebbe reso l’estrazione del pilota dal “relitto” della sua McLaren, in caso di un suo stato di incoscienza (fortunatamente evitato, anche grazie alla robustezza della scocca, al sistema Hans di protezione del collo e all’innalzamento operato in questo 2016 delle protezioni laterali dell’abitacolo), notevolmente più lungo e complesso?
I pro di questa attuale tipologia di dispositivo sono superiori ai suoi eventuali contro?
Per chiarirci, un sistema simile, nel caso del dramma occorso a Jules Bianchi, avrebbe causato indubbiamente conseguenze ancora più nefaste di quelle già drammatiche che han causato la prematura scomparsa del talento dell’Academy Ferrari, facilmente immaginabili. E anche in caso di detriti/corpi contundenti “vaganti” (pensiamo alla molla persa da Barrichello che colpì in pieno Felipe Massa nel Gp d’Ungheria 2009, oppure al puntone della sospensione che offese il volto dell’indimenticato Ayrton Senna in quel tragico weekend di Imola ’94) non avrebbe alcuna efficacia. In questo caso sarebbe più utile il sistema ideato dalla Red Bull sulla scorta dei cupolini aeronautici, ma i problemi in fase d’estrazione dell’abitacolo del pilota rimarrebbero.
Passando invece ai circuiti, probabilmente ci si sta ostinando nel voler correre su piste che, per i livelli attuali di velocità delle monoposto, soprattutto in curva, in caso di defaillance tecnica/errore umano si dimostrerebbero estremamente inadeguate.
Monaco è un caso “limite”, viste le medie orarie comunque basse, ma Melbourne in alcuni punti, con la presenza di muretti troppo vicini al tracciato, sembra ormai quasi “anacronistico”. Ma anche il circuito cittadino di Baku, sede del prossimo Gran Premio d’Europa (e il paradosso di questa denominazione farebbe già ampiamente riflettere…) sembra destare qualche perplessità.
E le scelte della Fia in merito sembrano più tenere in considerazione il tornaconto economico che le imprescindibili esigenze di sicurezza.
Ad esempio, tornare a far correre la Formula Uno su un circuito storico come quello di Imola (viste le difficoltà nel trovare l’accordo per mantenere il Gp d’Italia a Monza anche nel calendario 2017), bellissimo quanto oramai “vetusto” in termini di vie di fuga per le attuali vetture, potrebbe scatenare criticità notevoli e rischi troppo elevati.
Molto meglio sarebbe utilizzare il circuito del Mugello (di proprietà Ferrari e già teatro del Motomondiale, a cui è stata recentemente rinnovata l’omologazione per la F.1), ma la scarsa presenza di strutture ricettive e la problematica viabilità di collegamento (che poi, in “soldoni”, significa maggiori possibilità d’introiti) potrebbe far propendere il “padre-padrone” Ecclestone per altri lidi (con addirittura l’opzione Las Vegas…).
Anche la gestione dei pericoli da parte dei commissari di pista talvolta è sembrata lacunosa (l’esempio recente più triste è sempre quello dello sfortunato pilota francese prima citato durante un Gp di Suzuka segnato da pioggia e scarsa visibilità, dove un più logico rinvio dell’evento ha lasciato il posto alle esigenze “economiche”, dovute ai collegamenti televisivi, imposte come sempre da Ecclestone). Tutto ciò dovuto alle eterogenee modalità d’azione delle varie crew di sicurezza locali, parecchie volte dimostratesi assolutamente inadeguate allo scopo.
Sarebbe forse auspicabile da parte della Federazione creare una figura professionale specifica tra i commissari di percorso di “addetto sicurezza Formula Uno”, arruolabile in loco, che riceva una adeguata e standardizzata preparazione specifica, fornita magari da un’eccellenza tutta italiana quale quella dei “Leoni” della CEA, che da anni svolgono un impareggiabile (e mai abbastanza riconosciuto) lavoro durante le gare sul suolo italico.
In definitiva: tanto è stato fatto, ma tanto altro occorre. E, soprattutto, deve essere realmente e seriamente “pianificato”, piuttosto che dettato da esigenze d’immagine/marketing o dall’enfasi del “caso del momento”…
Di Giuseppe Saba