Veni, vidi, Bearman. Oliver il diciottenne, al volante di quella Ferrari che, per molti suoi coetanei come lui avvezzi a pane e motori rappresenterà un sogno mai coronabile, ha voluto lasciare il segno. Vuoi la benedizione che Carlos Sainz gli ha dato dal suo letto d’ospedale dove è ricoverato per un’appendicite, vuoi la determinazione del ragazzo a fare vedere di quale pasta sia fatto, è arrivato un settimo posto. Che lui liquida con un semplice “me la sono cavata”. Esagerando per difetto. Perchè, quando sali appena compiuta la maggiore età su una vettura big e finisci tra i primi dieci al primo colpo, è qualcosa di più di un cavarsela. E’ far capire che, nel mondo della Formula uno, qualcosa puoi dire solo che trovi qualcuno disposto a darti un volante in modo permanente ed effettivo.
Oliver il virtuoso sa che, appena Sainz si rimetterà, dovrà tornare in retrovia a fare il terzo pilota. Però, comunque, un avviso ai naviganti lo manda. Se la gioca. Ha l’età a suo favore. Ha la sicurezza del conduttore navigato. Ha, almeno a quanto emerso a Jeddah, la capacità di leggere bene le gare in filigrana. E quindi vuole provare a entrare a due piedi nel dorato mondo per restarci come condomino permanente.
“Nel complesso posso essere soddisfatto- ha dichiarato a inizio gara- ci sono state prime volte per me oggi, ma me la sono cavata, Jeddah non è una pista semplcie ho sofferto, è stata dura ma abbiamo svolto un bel lavoro”. Abbiamo, dice, non ho. Perchè sa perfettamente che il suo è un risultato frutto del lavoro di scuderia. Ma se quest’ultima gli ha preparato il terreno per fare il botto, lui se lo è saputo arare e coltivare alla grande.
Piccolo particolare: Bearman è stato capace di tenersi alle spalle Lando Norris e, soprattutto, il sette volte campione del mondo Lewis Hamilton. Considerando anche questo, Oliver il promettente può certamente inserire, nel suo personale dizionario dei sinonimi, settimo posto vedi vittoria, vittoria vedi settimo posto. Perchè per lui questo è. E non vuole fermarsi qui.
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