Sin dal 1981, anno in cui la prima Formula 1 con telaio in carbonio, disegnata da John Barnard debuttò in pista, con tecnologia mutuata da quella aerospaziale ed in cui l’Inghilterra è stata pioniera, prima di essere scavalcata dall’eccellenza italiana nel mondo dei compositi, materiali quali fibre di carbonio,

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vetro ed aramidiche sono diventate man mano la totalità del telaio e della carrozzeria delle monoposto, a tutti i livelli di competizione. Utilizzati inizialmente in quanto garanti di un rapporto peso/rigidezza non raggiungibile dal metallo (il telaio era tipicamente un traliccio in tubi saldati con delle pannellature), man mano, grazie allo sviluppo dei computer e degli strumenti di calcolo, i compositi sono diventati l’arma segreta dei progettisti, permettendo di avere un materiale “intelligente” che reagisse alle sollecitazioni proprio come richiesto.
Utilizzando infatti i materiali compositi a fibra lunga è possibile avere delle direzioni preferenziali, rispetto alle quali il materiale è più o meno rigido: basti pensare ad un telaio di formula 1, che deve far sì che gli impatti frontali scorrano su tutta la struttura senza che questa ceda, mentre lateralmente il compito della cella di sicurezza è quello di evitare la penetrazione di corpi esterni,

siano questi schegge, componenti metallici (ad esempio i braccetti delle sospensioni) o elementi fissi (tutte le strutture non deformabili che possono colpire la vettura in caso di incidente). Oltre alla sicurezza, i compositi garantiscono anche una elevatissima rigidezza torsionale, che nel mondo dell’automobile permette di ottenere una regolazione più fine del comportamento vettura sulle sconnessioni e sotto i carichi aereodinamici.
Solo negli ultimi anni, grazie a riprese ad altissimo numero di frame, è stato possibile per i tifosi, notare molti dei “trucchi” dei progettisti. Bisogna pensare che le vetture che vediamo ferme, non sono mai nelle stesse condizioni geometriche di quando la vettura è lanciata ad alta velocità.

Tutti i componenti della carrozzeria infatti si muovono, “flettono”, andando a svolgere lo stesso compito di elementi di aereodinamica attiva che sono vietati sulle formula 1 (DRS escluso) e che sono presenti invece sulle Supercar, e questo è uno dei motivi per cui è necessario, in galleria del vento, utilizzare una vettura in scala 1:1 identica nei materiali e nelle geometrie a quella che andrà in pista.
Da regolamento, la deformazione di molti componenti è soggetta a verifiche: solitamente le ali ed i supporti di queste, mentre le parti che vanno a tutelare la sicurezza del pilota sono soggette a crash test e test di spinta che misurano quanta energia o quanta forza possono assorbire le strutture.
Moltissimi componenti però, per motivi vari, non sono soggetti ad alcun test. Il fondo è proprio uno di questi elementi, così come il muso.

Ogni trucco è lecito, ad esempio utilizzare i gas di scarico che “rammolliscono” le resine che fungono da matrice della fibra di carbonio, così da permettere, ad esempio, ai piloni di supporto dell’ala di flettere all’indietro, avendo quindi meno carico in rettilineo quando si cerca la velocità massima.


Molto spesso queste deformazioni lavorano a braccetto con quelle delle sospensioni, che non hanno solo il compito di mantenere l’assetto della vettura il più neutro possibile,ma di modificarlo in base alle situazioni. Il famoso effetto rake, è basato sulla continua variazione dell’inclinazione della vettura.

Dal video possiamo notare  quanto possa cambiare l’altezza dell’alettone posteriore sulla Ferrari che usa un assetto Rake accentuato e la Mercedes W08 che ha un assetto quasi piatto.
Ciò che si cerca costantemente è l’aumento di carico in fase di necessità di aderenza (principalmente le curve) e la diminuzione di carico in fase di velocità (principalmente i rettilinei). Ogni elemento che permette di avere carico aerodinamico, aumentando quindi l’aderenza, porta ad una diminuzione della penetrazione aerodinamica della vettura, tanto che da gara in gara, si prediligono assetti diversi dei componenti aerodinamici (assetti più o meno carichi).
Utilizzando l’assetto Rake, tutta la vettura diventa un “grande diffusore” che permette di sfruttare l’effetto suolo. La flessione del muso e delle parti laterali del fondo, oltre che del diffusore vero e proprio, permettono di creare un tunnel “sigillato” che crea una depressione sotto alla vettura.
I trucchi dei progettisti sono innumerevoli e variano di anno in anno, in base a come il regolamento può essere letto ed interpretato, sfruttando le frasi non chiare e le zone grigie.

Ing. Werner Quevedo Twitter

Grafica e video comparazioni Salvatore Asero Twitter

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