La Mercedes W11 ha presentato una livrea nera in onore della lotta al razzismo, sostenendo i forti ideali di Lewis Hamilton. Ma la parola razzismo non può essere usata in ogni campo indiscriminatamente.

La lotta al razzismo è una cosa seria. Si tratta di una battaglia interminabile, cominciata da secoli e per il quale hanno dato l’anima personaggi che hanno fatto la storia. Se parliamo di contemporaneità, risaltano agli occhi i nomi di Abramo Lincoln, battutosi alacremente contro la schiavitù nell’America dell’Ovest, di Martin Luther King e del suo discorso che ha segnato un’epoca. Sono loro quelli a cui si deve la maggior parte di questa guerra, vinta o persa che sia, cambia poco. Il razzismo è una piaga ancor oggi presente, con la morte di George Floyd a Minneapolis che ne ha solo riaccentuato la drammaticità. Ma fare di tutto questo un messaggio da far passare in ogni campo, soprattutto nello sport, beh, di acqua sotto i ponti ce ne passa. La Formula 1 ha lanciato una speciale campagna, la WeRaceAsOne, poco tempo fa, con la bandiera della pace come simbolo primario che andrà a dipingere molte livree delle monoposto. Lewis Hamilton è sceso in piazza a Londra in prima fila, a combattere per i diritti, con la Mercedes che in mattinata ha presentato una livrea totalmente nera per la W11 che correrà in Austria.

L’impressione è che della parola razzismo se ne stia facendo un uso spropositato, facendo passare di tutto e di più come un qualcosa che vada sensibilizzato per l’uguaglianza. La Formula 1, sotto l’impatto di Liberty Media e del suo campione Hamilton, sta andando sempre più incontro ad una visione politica, includendo tematiche che spesso hanno poco a che fare con lo sport. Sicuramente account con migliaia di follower come i campioni del Circus o di altre discipline possono lanciare forti messaggi, ma senza fare della lotta contro le discriminazioni una battaglia di cui devono occuparsi gli sportivi in persona. La scelta della livrea nera sulla Mercedes è un’altra dimostrazione, passatemi il termine forte, dell’ipocrisia al quale si sta andando incontro. La F1 è la massima competizione automobilistica mondiale, non una piazza o un parlamento dove discutere di come arginare la piaga razzista. Come anticipato nel primo paragrafo, non ci si improvvisa eroi apponendo una colorazione differente su una vettura o con un post su Instagram. La lotta per l’uguaglianza è una questione seria e delicata, che non può essere ridotta a delle assurde campagne che vengono vendute solo per convenienza e questioni di immagine.

 

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