Dal 2018 al 2022 la Ferrari ha mantenuto una relativa stabilità tecnica, culminata nella competitiva vettura del 2022. Da allora però il team ha vissuto un vortice di cambiamenti interni che getta dubbi sulla preparazione per il nuovo regolamento 2026. Al contrario, Red Bull sembra aver imboccato una strada molto più pragmatica.

Un team che cambia direzione ogni due anni
La stagione 2026 sarà un salto regolamentare enorme, ma Ferrari ci arriva con un bagaglio di instabilità difficile da ignorare. Dal 2022 in poi Maranello ha cambiato team principal, direttori tecnici e responsabili aerodinamici con una frequenza che non permette continuità. Da Binotto a Vasseur, passando per gli addii di Mekies, Sanchez e Cardile fino ai nuovi arrivi di Serra e D’Ambrosio: l’elenco è lungo e rende evidente un percorso mai lineare.
Nel 2022 la Ferrari produsse una vettura competitiva, frutto del lavoro e dei sacrifici accumulati dopo anni difficili, con Binotto che sin dal 2019 indicava proprio quella stagione come il vero obiettivo. Ma la solidità tecnica di quel ciclo si è dissolta rapidamente.

La competitività del 2022 non era un punto di partenza
La vettura 2022, pur forte, adottava un concetto che si è poi rivelato non vincente. Red Bull non solo la raggiunse rapidamente, ma la superò con un’interpretazione aerodinamica più efficace. La Ferrari fu costretta nel 2023 a rivedere radicalmente il progetto, perdendo il vantaggio di conoscenza accumulato negli anni precedenti. Da allora, il team non è più riuscito a imboccare un percorso tecnico stabile o continuativo.

Troppe variabili, troppo poco tempo
Affrontare un nuovo regolamento come quello del 2026 richiede visione, stabilità interna, continuità e una forte identità tecnica. Ferrari oggi non sembra possedere nessuno di questi elementi in modo solido. La fortuna, la giusta intuizione o una casualità tecnica possono sempre cambiare il corso della storia, ma basare un ciclo regolamentare su questi fattori è estremamente rischioso.
Anche il recente superamento del crash test non è un indicatore determinante. In un contesto rivoluzionato come quello del 2026, finire prima degli altri non è un vantaggio. La priorità non è chiudere presto il progetto, ma imboccare la strada giusta. E questo, storicamente, è l’aspetto più difficile.

Perché la strategia Red Bull è la più intelligente
Il vero paradosso è che il team più vincente degli ultimi anni sembra aver scelto la via più pragmatica: non forzare la ricerca del “concetto vincente” ma osservare cosa produrranno gli altri. Red Bull può permettersi di aspettare, di assorbire le idee migliori sul campo e svilupparle con le proprie competenze.
In un’epoca di budget cap, questa è una mossa chirurgica. Perché investire milioni in una strada che potrebbe rivelarsi sbagliata? La McLaren lo ha dimostrato: con risorse limitate, copiare il concetto giusto può essere più efficace che esplorare tutte le possibilità progettuali.
Se la strada che imbocchi è sbagliata, anche il miglior tecnico del mondo produrrà il miglior risultato possibile… di un progetto sbagliato.
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Il rischio tecnico di Ferrari
Red Bull può anche permettersi di sacrificare l’inizio del 2026: ha un motore nuovo, un reparto aerodinamico collaudato e una filosofia progettuale coerente. Ferrari no. Maranello deve trovare fin da subito una direzione corretta; ogni deviazione potrebbe costare anni di competitività.
Le parole di Vasseur sul “lavoro iniziato da tempo” non convincono del tutto. La continuità tecnica degli ultimi anni è stata troppo disordinata per credere davvero a uno sviluppo lineare. E se il progetto è stato chiuso in anticipo, questo potrebbe indicare prudenza, non audacia. Un approccio che raramente fa la differenza in un cambio regolamentare totale.
Analisi finale
Le speranze Ferrari per il 2026 esistono, ma non possono essere basate su un percorso solido perché il team non ha avuto la stabilità necessaria negli ultimi tre anni. Red Bull invece si presenta come la squadra più lucida: sfrutta la propria posizione di vantaggio, lascia che siano gli altri a rischiare e sceglie di intervenire solo quando il concetto vincente sarà chiaro. È una strategia spietata, ma tremendamente efficace. E finché Maranello non ritroverà una direzione tecnica coerente, la distanza rischia di aumentare prima di ridursi.
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