Non è certamente un segreto che la Ferrari stia attraversando un periodo di atroci difficoltà, sono passati ormai tantissimi anni dall’ultimo titolo mondiale piloti vinto con Kimi Raikkonen nel lontano 2007. Certo ci sono stati momenti positivi lungo la via, come le vittorie intascate da Sebastian e l’apparente ritrovata competitività con la monoposto dello scorso anno; ma sono complessivamente elementi positivi all’interno di una spirale concentrica e sempre più vertiginosa di un periodo in sé negativo.

A tal proposito i colleghi di RacingNews365.com hanno effettuato, avvalendosi di esperti del settore economico e anche di insider Ferrari, un paragone tra quello che fu il tracollo della Williams mettendolo a confronto con la situazione che la scuderia di Maranello sta vivendo: l’esito è allarmante poiché i punti di somiglianza sono molti più di quanto ci si aspetterebbe a prima vista.

Anzitutto va fatta una premessa: normalmente il tasso di sopravvivenza di un team all’interno del carnivoro ambiente della Formula 1 è già di per sé molto basso: durante i poco più di 70 anni di vita del massimo campionato sportivo oltre 130 equipaggi di base – non team in senso stretto e univoco poiché molti hanno corso sotto vari nomi, come Tyrrell, che è diventato BAR, poi Honda, poi Brawn e infine Mercedes F1 – hanno disputato il campionato. Di tutti questi ne rimangono solo 10 ad oggi, con solamente Ferrari, McLaren, Tyrrell e Williams in grado di tracciare le loro storie indietro di oltre 60 anni, tutto ciò ci porta ad avere un tasso di sopravvivenza pari al 7,7%.

La Williams ha vissuto alti e bassi legati soprattutto alla disponibilità di fornitori di motori ‘ufficiali’, ma la vera svolta arrivò nel 2011 quando i proprietari Frank Williams e Patrick Head raccolsero fondi per motivi personali quotando l’azienda alla Borsa di Francoforte invece che incassare puntando su investitori veri e propri. Hanno nominato un direttore finanziario (Adam Parr) che non aveva alcuna comprensione della F1 per guidare l’IPO (ossia l’offerta pubblica iniziale con cui una società si quota per la prima volta nella sua storia sul mercato azionario).

A questo punto, al netto di qualche situazione positiva occorsa durante gli anni, in termini reali la Williams era praticamente condannata una volta che la holding aveva piazzato, in termini di priorità, i profitti davanti alle performance in gara; in un certo senso questo approccio era anche necessario perché a seguito dell’IPO Williams doveva giustificare importanti prestiti agli azionisti. Nel corso del tempo poi, complice anche una scelta errata di continuare a puntare su scatole del cambio in alluminio, man mano che i risultati diminuivano le sponsorizzazioni e le entrate dei premi diminuivano, mettendo in moto una spirale viziosa discendente che la portò al tracollo definitivo.

Anche nel caso di Ferrari, dato che spaventa, il tracollo è iniziato pressapoco con la quotazione in borsa, in questo caso l‘IPO della Borsa di New York è stata guidata dal direttore finanziario Sergio Marchionne, un grandissimo uomo ed imprenditore, ma che non aveva una comprensione intrinseca della F1 e probabilmente vedeva la Ferrari solo come un altro marchio di lusso.

Laddove una volta la Ferrari offriva il meglio in una qualsiasi delle Quattro M del Management: Manpower (risorse umane), Machinery (infrastrutture), Money (entrate e budget) e Market (ambiente), sono intervenute invece una combinazione di priorità di profitto, limiti di budget normativi e cali di prestazioni che si sono combinate tutte assieme per portare alla situazione che il team sta vivendo attualmente. Anche all’inizio degli anni ’90 la Rossa visse un periodo di magra, ma a quell’epoca il budget cap non esisteva nemmeno nella mente dei più visionari, e in quel caso il team riuscì a risollevarsi firmando i migliori assegni e pagando fior di quattrini per assicurarsi le migliori risorse sul mercato mondiale (umane e tecniche); alcune risorse umane vennero addirittura pagate profumatamente per essere convinte a trasferirsi con tutta la famiglia a Maranello. Oggi un intervento di questo calibro non è più possibile in quanto diventerebbe troppo oneroso considerato che con l’attuale regolamentazione solamente i primi 3 stipendi (classificati per importo) sono esclusi dal budget cap.

A questo si somma anche una componente non indifferente che colpì anni addietro anche la Williams: a gennaio è stato stimato che Ferrari avesse perso ben 50 milioni di $ in entrate dagli sponsor, che si stanno evidentemente allontanando dal marchio. Già il solo fatto che l’ala posteriore (quella del DRS ndr) riporti unicamente la scritta Ferrari porta sicuramente un gran fascino estetico, ma fa anche riflettere considerato che quello solitamente sarebbe uno spot di prima classe per un potenziale sponsor.

In ultima analisi la domanda a cui tutti vogliono una risposta è se la Ferrari farà la fine della Williams? Presto per dirlo, e soprattutto nessuno possiede ad oggi una sfera di cristallo che dia risposte certe ed univoche sul futuro, dipenderà dalle strade che Elkann e gli altri vertici Camilleri e Benedetto Vigna decideranno di intraprendere. Di sicuro si è ancora in tempo per invertire la rotta, e questo potrebbe avvenire mettendo il reparto corse sotto il controllo autonomo di un direttore corse incaricato esclusivamente del ritorno alla gloria della Rossa che non si curi eccessivamente della crescita del prezzo delle azioni.

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