Hamilton Ferrari – Se c’è una cosa che fa più male della sconfitta, è la presa in giro. E in queste ore, mentre a Maranello si leccano le ferite dopo un GP del Qatar imbarazzante, dall’altra parte della Manica qualcuno se la ride. La stampa inglese, solitamente protettiva verso il suo Re Lewis Hamilton, ha iniziato a insinuare il dubbio che tutti i tifosi della Rossa temono ma non osano pronunciare: Lewis, sei sicuro di aver fatto la scelta giusta?
Il contrasto è umiliante
Basta guardare i numeri. In Qatar, mentre Hamilton e Leclerc lottavano con una Ferrari SF-25 inguidabile, scivolata a nona forza del mondiale dietro a Williams e Haas, la Mercedes (sì, quella Mercedes che Lewis ha scaricato) mostrava i muscoli. George Russell e Kimi Antonelli, pur con i loro errori di gioventù, avevano una macchina capace di stare lì davanti. La Ferrari, invece, era un gambero rosso.

I tabloid inglesi come il Daily Mail e il Sun non ci sono andati leggeri. Titoli che parlano di “Ferrari nel caos” e di un Hamilton che osserva i monitor dei tempi con lo sguardo di chi ha appena realizzato di essere saltato dalla padella alla brace.
Il linguaggio del corpo di Lewis
Chi era nel paddock a Losail ha visto un Lewis Hamilton diverso. Non arrabbiato, ma rassegnato. Quella rassegnazione di chi guida con il braccino, monta un’ala carica per non finire a muro e accetta di prendere paga da tutti sul dritto. È questo il pilota che deve riportare il titolo a Maranello? O è un uomo che sta iniziando a pentirsi?
La verità è che la Ferrari vista in Qatar fa paura. Non per la velocità, ma per la mancanza di comprensione tecnica. Se non capiscono perché la macchina non va oggi, come possono garantire a Lewis un missile per il 2026?
In Inghilterra lo dicono chiaro: “Good luck, Lewis”. Buona fortuna. Detta con quel sarcasmo britannico che suona come una condanna. E noi tifosi Ferrari, guardando quel rosso sbiadito nel deserto, fatichiamo a trovare argomenti per rispondere. Speriamo che Vasseur abbia un piano segreto, altrimenti il sogno di Lewis rischia di diventare l’incubo di fine carriera.
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