Se la qualifica di sabato non è stata piacevole per la Ferrari, la gara di ieri non ha superato le attese nè risollevato lo stato d’animo di un gruppo che gara dopo gara vede ormai come una liberazione la fine di una stagione difficile e avara di qualsiasi soddisfazione.

C’è bisogno di stabilità all’interno della squadra: lo necessitano i piloti, lo meritano i tecnici e gli ingegneri che credono nel progetto e che sono messi continuamente in discussione. Voci maligne e destabilizzanti si susseguono settimanalmente e, vere o false che siano, certo non contribuiscono alla serenità di un ambiente che ne ha un disperato bisogno. Non che con la serenità si vincano le gare, ma una squadra di Formula 1 deve poter contare su una squadra di elementi che non si sentano perennemente in discussione e possano creare, ideare, innovare e perchè no anche sbagliare senza la spada di Damocle di perdere il posto. L’esempio più vicino da portare è quello della Red Bull, squadra che viene da un ciclo di quattro mondiali vinti con lo stesso pilota, gli stessi tecnici, lo stesso capo progetto, lo stesso team principal. In Formula 1 la c’è la necessità di avere un capo, c’è il bisogno di avere una guida, un leader che possa indicare la direzione da seguire assumendosi rischi e responsabilità.

In Ferrari, come sappiamo, ogni sviluppo della macchina si è apparentemente interrotto a Barcellona. Per diverse ragioni che non starò ad analizzare in questo momento, l’evoluzione della SF16-H si è di fatto arenata per circa sei mesi, durante i quali abbiamo invece assistito ad un lavoro spinto da parte di Mercedes e Red Bull. Fino a Sepang e poi a Suzuka le novità portate dalla Ferrari sono sempre state limitate; solo in Malesia si è assistito all’introduzione di un pacchetto di novità significativo, prima testato, poi deliberato ed infine confermato qui in Texas. La bontà delle evoluzioni non è in discussione: quello che conta è l’impegno e la costanza nel dimostrare effettivamente in pista la bontà di un lavoro che in fabbrica sappiamo essere costante e serrato. Anche qui ad Austin peraltro sono diverse le novità introdotte, e altre seguiranno nelle gare rimanenti, certo anche in funzione di test per il 2017.

Questo gap di 5-6 mesi cui facevo riferimento tra la tarda primavera ed estate è diretta conseguenza dell’apparente deriva tecnica che la squadra ha affrontato prima, durante e dopo la partenza di Allison, e prima che Mattia Binotto potesse effettivamente prendere in mano la direzione tecnica. Questo lasso di tempo corrisponde peraltro al periodo in cui effettivamente nasce il progetto della macchina per l’anno successivo, e la speranza è che questo periodo di transizione e leggera anarchia non abbia avuto ripercussioni pesanti sul lavoro da portare avanti per il 2017.

di Stefano De Nicolo’  (@stefanodenicolo)

 

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