La Triple Crown (tripla corona per i non anglofoni): l’idea romantica, di difficilissima realizzazione (il successo a Montecarlo o nel Mondiale Formula Uno, nella Indy 500 e nella 24h di Le Mans), riportata in auge da Fernando Alonso con l’annuncio della sua prossima partecipazione alla 500 Miglia dell’Indiana, con il team Andretti e motorizzazione Honda (e, per “dovere d’italianità”, telaio Dallara).
L’impresa, ufficialmente, è riuscita solo a Graham Hill (completata nel ’72 col successo alla 24h, sul circuito de La Sarthe, al volante della Matra);  ma sono diversi i “conteggi dei successi” (ad esempio, considerando le vittorie in Indy 500, Campionato IndyCar e Mondiale F.1, si potrebbero annoverare tra gli “eroi dei due mondi” Emerson Fittipaldi, Mario Andretti e, in ultimo e più recentemente, Jacques Villeneuve, che sfiorò pure il successo a Le Mans come Andretti. Ma va detto che nessuno di loro trionfò mai a Montecarlo).
Da considerare anche l’impresa irraggiungibile del compianto e recentemente scomparso John Surtees: il britannico è stato l’unico a conquistare i più prestigiosi titoli iridati sia a due che a quattro ruote.
Quello che vuole “mettere in opera” l’asturiano, frustrato dai pessimi risultati McLaren-Honda in Formula Uno (ma potrebbero presto “arrivare rinforzi”, in via ufficiale, nientepopodimenoché dal “competitor” Mercedes,

mandando un po’ “gambe all’aria” il concetto stesso più autentico di competizione motoristica. Ma questo è un altro discorso di cui avremo modo di parlare prossimamente…), è quindi un’ “idea romantica”, figlia di una autentica passione per il Motorsport, che non può che far felici gli appassionati “duri e puri”.
Di sicuro l’impresa si annuncia ostica, anche per un bi-campione di F.1: infatti, le diverse gare si sono fatte sempre più “specialistiche”, e anche per il breve periodo d’apprendistato, Fernando dovrà “compiere un miracolo” per essere subito competitivo nella lotta per la vittoria.
Anche lui ne è consapevole, e spera in un “corso accelerato” organizzato dal team di Andretti (dovrebbe essere Gil De Ferran il suo “coach”, con cui, nei giorni scorsi, ha realizzato il sedile per la sua monoposto, dopo aver presenziato alla gara di Barber in Alabama) .
Il discorso potrebbe rivelarsi un po’ meno complicato per quanto riguarda il futuro impegno dello spagnolo a Le Mans: ma ad oggi abbiamo solo voci (di un possibile accordo con Porsche per il 2018) ma nulla di concreto.
L’unica sicurezza è che tutti gli appassionati più autentici non potranno che fare il tipo per lo spagnolo, riassaporando quell’idea di “automobilismo romantico”, fatta di passione autentica per il Motorsport, con quel “retrogusto” d’epopea, che ultimamente è sempre più difficile ritrovare nei vari ambiti dell’automobilismo sportivo (se non in alcune categorie “minori” solo di nome”), sempre più asettico e “managerializzato”.
Per cui, in bocca al lupo Nando!

di Giuseppe Saba (Twitter: @saba_giuseppe)

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