Lo scorso 20 novembre a Macao è definitivamente calato il sipario sulla seconda stagione del TCR International. Ad aggiudicarsi il titolo per appena 3,5 punti, al termine di due manche al cardiopalma, è stato il campione 2015 Stefano Comini (Golf Leopard Racing), vincitore in Gara 1 e aiutato dai guai capitati al capoclassifica James Nash (Seat Craft Bamboo Lukoil), nel primo match ball subito a muro e soltanto 8° in Gara 2.

TCR VS WTCC

Sempre imprevedibile e dunque più attraente per pubblico, piloti e Case (nel 2017 accanto ad Alfa Romeo, Honda, Ford, Opel, Peugeot, Seat, Subaru e Volkswagen ci saranno Audi e Kia),  la  sorella minore delle serie a ruote coperte sembrerebbe sulla buona strada per soppiantare il grande WTCC, rimasto con le sole Volvo e Honda in veste ufficiale dopo il recente annuncio del ritiro di Lada e della dominatrice degli ultimi tre campionati Citroën.

Di sangue italiano malgrado la società che ne gestisce gli eventi, la Touring Car Racing SA, abbia sede in Svizzera a Lugano, il TCR nasce con l’obiettivo di “colmare un vuoto presente nelle competizioni per vetture turismo”. Questo almeno secondo il padre fondatore Marcello Lotti, veterano del mondo delle corse ed ideatore nel 2005 dello stesso WTCC abbandonato nove anni più tardi per “disaccordi con il promoter e diffusore tv Eurosport Events circa la strada da intraprendere per sviluppare al meglio il prodotto”.

A giocare a favore della categoria è sicuramente la spesa relativamente ridotta necessaria per partecipare. Se infatti per disputare gli 11 round del WTCC ci vogliono tra i 700.000 e il milione di euro per il campionato più vicino alla produzione, che conta il medesimo numero di prove, ne bastano al massimo 400.000.

“L’intenzione era quella di rendere accessibile l’ingresso a piloti e team indipendenti con un regolamento tecnico facilmente adottabile a diversi livelli: internazionale, nazionale, regionale” – la spiegazione del patron – “Volevamo offrire un veicolo promozionale alle Case tramite l’utilizzo di auto strettamente derivate dalla serie che generasse un mercato “costumer racing” , quindi la chance di riciclare le vetture dopo una/due stagioni in campionati di livello inferiore (ex. dall’internazionale al regionale) o in format differenti (sprint o endurance)”.

Per capire meglio. Per una macchina si spendono circa 110.000 euro a cui va aggiunto il pacchetto ricambi che varia tra i 20 e i 30.00 euro. L’iscrizione per l’intera stagione è fissata a 40.000 euro e comprende il container per le trasferte, il trasporto dei ricambi e l’hospitality in comune. Poi ci sono le gomme. In un weekend se ne usano una decina e vengono 310 euro l’una. Anche il personale impiegato è ridotto all’osso. Ogni scuderia che conta due mezzi dispone di sei meccanici, un ingegnere di pista e un team manager.

“Si tratta della formula del futuro per diversi motivi .- il parere di Comini – Innanzitutto per i costi di acquisto e gestione delle vetture, secondariamente perché le stesse mantengono il loro valore e non devono essere svendute per disputare altri campionati e infine per la meritocrazia.. Io stesso sono entrato con la “valigia”, però adesso a fronte dei risultati vengo pagato”.

L’equilibrio tecnico e le regole trasversali sembrano aver fatto breccia su tutti e lo stesso Pepe Oriola, di provenienza mondiale touring car ne è rimasto conquistato.

“Le auto sono simili tra loro in termini  di prestazioni per cui si vedono molti più duelli in pista – ha sottolineato l’esperto Gianni Morbidelli, impegnato con la Civic – Tutti possono essere protagonisti. Ci si diverte sia a guidare, sia a guardare. Le corse sono “maschie”e pazienza se non si raggiungono velocità altissime (parliamo comunque di bolidi da 330 cv) o non si utilizza la fibra di carbonio. La F1 stessa ci insegna che non sempre la tecnologia estrema è sinonimo di spettacolo. Nel 2014 ho corso nel WTCC (lì si raggiungono i 380 cv) per la Chevrolet. Sin dal principio sapevo di non avere possibilità di impormi essendo un privato ed infatti quando ho vinto una manche ed è stato come aggiudicarmi il titolo”.

“Non essendo presenti big capaci di spendere per gli aggiornamenti cifre da capogiro non vi sono casi di supremazia – ha ribadito la pilota della Giulietta Michela Cerruti – Grazie anche al balance of performance ( e alla zavorra che viene suddivisa tra i primi 3 di ogni round in 30 kg per il vincitore, 20 kg per il secondo e 10 kg per il terzo) chiunque può tagliare per primo il traguardo e poi c’è una classifica unica il che rende il formato più appetibile e chiaro, senza contare che i brand (almeno per quanto concerne l’Europa) sono quelli che si vedono normalmente sulle strade”.

LA CHIAREZZA TECNICA E UN FORMATO ANTI NOIA

Trattandosi di vetture derivate dalla serie il regolamento parla chiaro. Se è possibile cambiare ammortizzatori, freni, scarichi e centralina, nessun intervento è permesso su motore, turbina e radiatore. Un particolare che rassicura le Case sull’assenza di possibili colpi di mano da parte dei più ricchi con un inevitabile squilibrio di performance. Fisso o quasi anche il numero di partecipanti in ciascun round, mai sopra i 24.

In linea con i tempi moderni che preferiscono ciò che è flash anche la struttura del weekend. Due sono le sessioni di prove libere da 30 minuti, a cui segue una qualifica da 35 minuti e due gare da 25 minuti l’una. La prima tiene conto della griglia stabilita il sabato, mentre la seconda ribalta la top ten.

PUBBLICO IN CRESCITA

Forte di corse battagliate in due anni l’Internazionale ha fatto molti progressi in termini di audience seppur ancora lontana dagli oltre 600 milioni di spettatori globali del WTCC.

Nel 2015 è stata calcolata una media di 45000 presenze in autodromo ogni weekend con diffusione tv in 170 Paesi. Di discreto successo anche il canale YouTube TCR TV che raccoglie tutti i contenuti video (oltre 230.000 visualizzazioni nel primo anno) e i social che oggi vantano circa 91.000 like su Facebook e 4000 follower su Twitter, cifre a cui vanno aggiunti i “mi piace” delle singole serie nazionali (tra i 5.000 ai 10.000 l’una).

I CAMPIONATI NAZIONALI E REGIONALI

A dispetto del momento di difficoltà del motorsport il brand TCR sta dimostrando di non aver paura di investire e allargarsi. Infatti accanto alla serie Internazionale sono sbocciate quelle d’Europa, Asia, Americhe e Medio Oriente, oltre alle nazionali di Cina, Italia, Benelux, Portogallo, USA, Germania e Tailandia.

La scorsa estate è giunta la conferma della nascita di un campionato scandinavo e di uno baltico, mentre oggi trattative sarebbero in atto tra Lotti, Supercar Australia ed SRO per inserire la categoria agli antipodi, magari nel 2018 (già nel 2017 alcune TCR potrebbero essere inserite sulla griglia della classica 12 Ore di Bathurst), senza dimenticare la già esistente TCE, serie endurance dedicata alle vetture turismo.

NON TUTTO E’ PERFETTO

In mezzo ad un pot-pourri di pregi qualche problema non manca. Nello specifico la scarsa “pubblicità” e le variazioni all’ultimo momento del calendario. Per quanto riguarda il 2016 la trasferta estera della serie italiana è saltata per la presunta incapacità di trovare una location libera.  Il round asiatico di Zhejiang è stato spostato a Sepang nel weekend della F1 per ritardi nella preparazione dell’impianto, mentre per la corsa dell’Internazionale fissata a Monza è stata sostituita con  Imola per il mancato accordo con il Tempio della Velocità.

“Nessuno ci ha spiegato i motivi del cambiamento di tracciato in Italia e personalmente l’ho trovata una mancanza di professionalità da parte del circuito brianzolo visto che siamo stati avvisati solo tre settimane prima” – ha sottolineato Comini – “Altro punto negativo è la mancanza di attenzione da parte di un emittente importante. Credo ci siano degli aspetti da migliorare, tuttavia l’inserimento di Peugeot e Alfa quest’anno e i futuri ingressi in programma fanno ben sperare”.

“Su undici gare solo cinque sono in Europa (Portogallo, Belgio, Italia, Austria e Germania), il resto del calendario si snoda tra Tailandia, Russia, Bahrain, Singapore, Malesia e Macao – si è lamentato Massimo Arduini di Brembo, attivo come driver nella serie italiana – E’ vero che il seguito viene soprattutto dall’Asia ma a mio parere bisognerebbe creare qualche evento in più nel Vecchio Continente. In secondo luogo manca il pilota altisonante. Il livello è buono però i big latitano. Un Robert Kubica lo vedrei bene”.

“Sicuramente andrebbe rafforzato il lato marketing. Qualche passaggio in più in tv sarebbe positivo” – ha ribadito Morbido.

Viene infine facile ipotizzare che se alcuni eventi (Bahrain, Singapore e Malesia) non fossero stati collocati all’interno dei fine settimana della F1 (e mandati in onda da Sky) non ci sarebbe stato un tale riscontro da parte di audience, marchi automobilistici e sponsor (per la serie internazionale parliamo di Michelin, Lukoil, OMP, Liqui Moly, GoPro, Pommery, Panta e Arcese), questi ultimi spinti proprio ad investire da una concomitanza utile per uno spot di respiro mondiale.

Di Chiara Rainis

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