Hamilton vince con merito la gara in Giappone e fa doppietta con Bottas; ma il merito va diviso con la squadra che gli ha fornito una vettura performante e che ha saputo gestire in buona collaborazione, quella sorta di crisi che il Britannico ha vissuto ad inizio campionato e che combaciava con le ottime prestazioni di Vettel. Forse il punto è proprio questo; è il pilota che ha tranquillizzato la squadra o viceversa? Forse un indizio ce lo porta il comportamento di Hamilton nella seconda parte della stagione 2017, quando ha tirato i remi in barca ed ha pensato solo a fare più punti senza sbagliare ed alla fine i risultati gli hanno dato ragione. L’esatto contrario ha fatto Vettel, noi possiamo inveire contro il muretto e contro Arrivabene quanto vogliamo ma dalla metà del 2017 ad oggi gli errori più gravi non sono stati quelli del muretto ma quelli del pilota che si è dimostrato fragile, emotivo, dai nervi poco saldi ed in qualche occasione anche poco lucido in alcune scelte.

Ora possiamo parlare quanto vogliamo del muretto e delle strategie, ma se il driver di punta si qualifica male e il tattico è costretto ad inventare strategie assurde la responsabilità non è sua del tutto e questo è accaduto solo alcune volte; in altre occasioni si è sbagliato completamente (vedi rientrare dietro Perez a Singapore) ma nella maggior parte dei casi gli errori in pista sono stati di Vettel e questo è oramai lampante. Se il driver non tranquillizza la squadra salendo in una delle vetture migliori della griglia e dicendo: ” Ok ragazzi voi avete fatto il vostro ora ci penso io…” ma si perde nell’emotività di un peso così forte (ma poi che peso? mica deve salvare il mondo dall’invasione aliena) e difficile da sostenere, il team stesso non sarà tranquillo perché tutta questa tensione verrà trasmessa agli altri. Il driver vincente è un altro tipo di persona, è un duro che sale in vettura e dal momento che abbassa la visiera è finita per tutti, è quello che porta la vettura al 101% delle possibilità meccaniche e non al 80% e raccoglie il 120% a fine stagione; è quello freddo e implacabile che quando deve compiere un sorpasso lo fa con coraggio ma anche con quell’istinto del campione che sa già come andrà a finire; lui sarà davanti. Spiace dirlo ma da 13 mesi a questa parte Vettel non ha avuto niente a che fare con questo tipo di Driver eppure il suo palmares dovrebbe dimostrare il contrario; se ha bisogno di una vettura con mezzo secondo di vantaggio per vincere allora per cosa è stato ingaggiato? Facili i tempi in Red Bull con le mappature fantasma, il traction-control introvabile, i musi che flettevano, le gomme 2013 e il potere di una squadra che sembrava essersi comprata la F1. Oggi Ferrari paga proprio aver ingaggiato il driver dei mondiali poco sudati e delle occasioni perse proprio dalla Rossa; il paragone con Schumacher, che lui stesso ha allontanato; lo si può fare solo per la nazionalità; Schumi ha sbagliato tanto in carriera ma non dopo aver vinto 4 mondiali, era invece uno squalo in pista.

FERRARI DIVISA IN DUE, SIAMO ALLA PARANOIA, BINOTTO AL POSTO DI ARRIVABENE, UNA ASSURDITÀ TECNICA.

Adesso certa stampa tira fuori la storia, vecchia quanto me (che ne ho visti di carnevali), dato che sono gli stessi titoli di quando ero bambino, che c’è la solita resa dei conti dentro la squadra, che ci sono due fazioni, insomma la vecchia storia dei Montecchi e Capuleti che puntualmente torna a cicli sui giornali italiani, una sorta di corso e ricorso storico alla Giambattista Vico. Una polemica che tanto piace in terra Italica perché trasforma la lotta contro gli avversari in una lotta interna in cui sfogare le nostre repressioni e invidie. Ma non c’è nulla in Ferrari che possa giustificare questa resa dei conti, ci sono degli aggiustamenti da fare e soprattutto cercare di capire dove sia e cosa stia facendo Camilleri, c’è bisogno si faccia vedere in pista ogni tanto anche per far capire alla FIA che c’è una guida; è normale che ci voglia un periodo di ‘apprendimento’ in fabbrica ma la sua presenza è indispensabile eppure non ne abbiamo notizia; ecco forse è questo l’unico vero problema dei dirigenti in Ferrari.

Marco Asfalto

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